IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

lunedì 11 febbraio 2019

“Ci vorrebbe un po’ di scuola Diaz”: il capogruppo della Lega alla Circoscrizione 6 Torino sugli anarchici

Il capogruppo si è subito scusato per il post su Facebook


Ha fatto molto discutere un post scritto da Alessandro Ciro Sciretti, il capogruppo della Lega alla Circoscrizione 6 di Torino, in merito agli scontri che si sono verificati il 9 febbraio 2019 nel capoluogo piemontese tra la polizia e anarchici.

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“Ci vorrebbe un po’ di scuola Diaz”, è stato il cuore del suo commento affidato ai social.
“Ditemi voi se tutto questo è accettabile”, ha scritto Sciretti. “Nessuna pietà, nessuna, per queste persone. Le Forze dell’ordine sono troppo limitate nei loro poteri. Ci vuole un po’ di Scuola Diaz”.
I toni critici sono durati ben poco. In meno di un’ora infatti è stato costretto a fare un passo indietro e a giustificarsi per quanto scritto: “Chiedo scusa a chi non capisce le provocazioni”.
Il post, ha spiegato Ciro Sciretti, era frutto della rabbia contro gli scontri avvenuti a Torino e per i danni arrecati alla città: “Mi richiamo sempre alla legalità. Per questo, il riferimento ai fatti della Diaz non è, e non può essere preso, come una seria riflessione, ma solo ed esclusivamente come una provocazione”.
Le scuse però non sono state abbastanza per Emanuele Fiano, del Pd, che ha chiesto a Matteo Salvini e alla Lega di dissociarsi. “Troppo facile cavarsela con le scuse sui social, Salvini e la Lega prendano immediatamente le distanze dalle dichiarazioni del capogruppo Sciretti. La Diaz è stata una pagina ingiustificabile della nostra storia e che oggi vi sia qualcuno pronto a rievocarla fa davvero rabbrividire”.

Gli scontri a Torino

Oltre 500 anarchici si sono dati appuntamento nel pomeriggio di sabato 9 febbraio in piazza Castello, a Torino, per protestare contro lo sgombero dell’asilo occupato di via Alessandria, avamposto anarchico fin dalla metà degli anni Novanta.
La polizia ha lanciato lacrimogeni contro gli anarchici che hanno cercato di attraversare il ponte sulla Dora di corso Regio Parco. I manifestanti hanno incendiato un cassonetto e gettato bombe carta, con gli agenti che hanno risposto con un fitto lancio di lacrimogeni, attivando anche l’idrante.


G8 Genova, Cestaro: "Ho visto l'orrore dello Stato"

 L'uomo, che all'epoca dei fatti aveva 62 anni, ha riportato danni permanenti a causa del pestaggio subito alla Diaz: "Mi sentirò davvero risarcito quando la tortura diventerà reato"

 Il 21 luglio del 2001, durante il G8 di Genova, Arnaldo Cestaro era il più anziano dei manifestanti presenti all'interno della scuola Diaz a Genova. Durante i pestaggi della polizia riportò la frattura di un braccio, una gamba e dieci costole. Oggi Cestaro ha vinto il ricorso presentato alla Corte di Strasburgo sui pestaggi al G8 di Genova, ma si sentirà davvero risarcito solo quando sarà introdotto il reato di tortura: "I soldi non risarciscono il male che è stato fatto. E' vero, è un primo passo quello di oggi, ma mi sentirò davvero risarcito solo quando lo Stato introdurrà il reato di tortura", afferma Cestaro.

G8 Genova, Cestaro: "Ho visto l'orrore dello Stato"
Arnaldo Cestaro


"Oggi ho 75 anni ma non cancellerò mai l'orrore vissuto. Ho visto il massacro in diretta, ho visto l'orrore del nostro Stato. Dopo quindici anni, le scuse migliori sono le risposte reali, non i soldi. Il reato di tortura è una cosa legale", ha dichiarato l'uomo dopo la sentenza.

Arnaldo Cestaro è nato ad Agugliaro, in provincia di Vicenza, l'11 maggio del 1939. Oggi ha 75 anni e vive a Padova. Fin da giovane aveva aderito al Partito Comunista e, nell'estate del 2001, partì per Genova con i compagni delle sezioni di Rifondazione Comunista di Vicenza e di Montecchio Maggiore. Arrivato nel capoluogo, il 21 luglio partecipò alla manifestazioni pacifiche della mattinata e, verso sera, decise di trascorrere la notte in città ma, non conoscendola, chiese quindi consiglio ad una signora che lo accompagnò alla scuola Diaz.

Cestaro entrò nell'edificio e cercò un posto dove trascorrere la notte. Si sistemò proprio a ridosso della porta d'entrata, sul pavimento in legno della palestra. Uscì a mangiare un boccone e poi rientrò, stanco e provato dalla giornata. Si addormentò quasi subito ma poco prima della mezzanotte sentì un rumore infernale e pochi istanti dopo la porta di ingresso venne sfondata. In un primo momento pensò ad un attacco dei black bloc, ma ben presto si rese conto che si trattava di una irruzione della polizia. Arnaldo cercò di difendersi dai manganelli, gridando di essere una persona anziana e pacifica. E' lui l'uomo con i capelli bianchi citato dal vice questore Michelangelo Fournier nella deposizione davanti ai giudici, durante il processo per i fatti della Diaz. Fournier definì quell'irruzione una "macelleria messicana" e raccontò ai magistrati di aver urlato "basta!" ai poliziotti che stavano picchiando un'uomo anziano. Quell'uomo anziano era proprio Cestaro: quella notte venne portato in ospedale con dieci costole rotte, un braccio e una gamba rotte, la testa piena di ematomi e il corpo pieno di lividi. I colpi gli provocarono plurime fratture. L'uomo fu operato subito all'ospedale di Genova e qualche anno più tardi di nuovo al Careggi di Firenze. Le ferite, riferisce la Corte, gli hanno procurato danni permanenti, con debolezza persistente del braccio e della gamba destri.

Oggi ha ottenuto un risarcimento danni di 45 mila euro dalla Corte di Strasburgo che ha riconosciuto che, al G8, le forze dell'ordine fecero vere e proprie "torture". Come racconta uno dei suoi avvocati, "A Cestaro lo Stato ha già pignorato i 35 mila euro di risarcimento che gli vennero riconosciuti in sede penale. Aveva delle cartelle di Equitalia e lui non fece in tempo nemmeno ad intascare quella cifra. Lo Stato gliela pignorò immediatamente".

Appena ha saputo la notizia del ricorso vinto dai suoi legali, Cestaro ha pensato: "Siamo davanti ad un primo passo. Subito però - ha aggiunto - ho pensato all'orrore vissuto e mi è venuta tanta amarezza perchè la legge sulla tortura avrebbe già dovuto essere introdotta da tempo. Fummo sottoposti a reali torture. Ne porto ancora le conseguenze e penso che, se il Parlamento non agirà, il male che hanno fatto a me lo faranno ad altri". Arnaldo Cestaro ogni anno torna a Genova sui luoghi del G8. Amici da riabbracciare, ma anche ricordi dolorosi. "E ogni volta penso che quello che abbiamo vissuto non deve più succedere", dice con amarezza.

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 Commento di Oliviero Mannucci: La notizia della dichiarazione di Alessandro Ciro Sciretti si commenta da se. E' accettabile la violenza dello stato, quando i cittadini fanno sentire il loro dissenso perché esasperati da chi spesso pensa solo a prendere e mai a dare!?
 





Pastori sardi, cosa sta succedendo? I motivi di una protesta che ora minaccia le elezioni regionali

In Sardegna non si placa la protesta dei pastori per il crollo del prezzo del latte: la minaccia ora è il blocco dei seggi alle elezioni regionali.

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Se in Francia era stato l’aumento del costo del carburante a scatenare la protesta dei gilet gialli, iniziata a novembre e ancora in corso, in Sardegna invece è stato il prezzo del latte ovino e caprino, ritenuto troppo basso dagli allevatori, a mettere sul piede di guerra i pastori.
Negli ultimi giorni si sono susseguite manifestazioni di protesta e blocchi in tutta la Sardegna, con migliaia di litri di latte versato in strada, ma adesso i pastori minacciano di boicottare le elezioni regionali di domenica 24 febbraio se non verrà trovata una soluzione alla vertenza aperta.

I motivi della protesta dei pastori sardi

La chiamano “l’onda bianca” questo movimento di protesta dei pastori sardi che, dopo giorni di manifestazioni e blocchi, continua a tenere banco chiamando in causa direttamente la politica nazionale.



Il tutto è iniziato il 6 febbraio quando nei pressi di Villacidro, località tra Cagliari e Oristano, un camion di un’azienda casearia è stato bloccato da due uomini incappucciati con tanto di bastoni in mano. Dopo aver minacciato l’autista, lo hanno obbligato a versare in strada il latte appena raccolto.
Da quel momento in tutta la Sardegna si sono susseguite manifestazioni di protesta, con migliaia di litri di latte versato in strada, oltre a blocchi stradali che hanno interessato soprattutto la Statale 131 (la principale strada di comunicazione dell’isola) e la zona nelle vicinanze del porto di Porto Torres.
Gesti forti per una situazione che i pastori sardi definiscono al limite dell’esasperazione. Il casus belli è il prezzo che le grande industria casearia paga agli allevatori per il latte ovino e caprino, 60 centesimi al litro, ritenuto troppo basso anche per coprire le spese: la richiesta è quella di almeno 77 centesimi al litro, mentre Confagricoltura stima in 1 euro al litro quello che sarebbe il giusto prezzo.
Una protesta questa che è stata ripresa anche dalla squadra di calcio del Cagliari, che è scesa in campo nel posticipo serale di domenica a San Siro contro il Milan con una maglietta di sostegno ai pastori.
In totale sono 12.000 gli allevamenti nell’isola che ospita circa il 40% di tutte le pecore presenti in Italia, producendo 3 milioni di litri di latte che viene utilizzato principalmente per la realizzazione del pecorino romano.
Da tempo il prezzo del latte sta subendo delle oscillazioni. Nel 2017 era sceso fino a 60 centesimi al litro, per risalire nel 2018 fino a 85 centesimi ma adesso è arrivato il nuovo crollo nonostante il forte aumento del prezzo del formaggio.



Le elezioni regionali

Con le manifestazioni che non si placano, ci sono anche i primi denunciati, l’argomento è diventato di dominio nazionale. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini si è detto pronto ad arrivare in Sardegna, con la questione che “deve essere risolta in fretta”.
Invece che fare propaganda elettorale sulla pelle dei nostri pastori - ha commentato l’assessore regionale all’Agricoltura Pier Luigi Caria - perché il governo nazionale non mette a disposizione della Sardegna i 25 milioni di euro del fondo ovicaprino bloccati a Roma?”.
Sullo sfondo infatti ci sono le elezioni regionali in Sardegna di domenica 24 febbraio. Senza una soluzione i pastori minacciano un clamoroso blocco del voto: “Non entrerà nessuno a votare: non è che non andiamo a votare, non voterà nessuno, blocchiamo la democrazia, ognuno si assuma le proprie responsabilità”.


Alessandro Cipolla 

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Commento di Oliviero Mannucci: Non c'è peggior violenza che la povertà. Lo stato italiano spesso è violento, le aziende che impongono il prezzo del latte sono violente, poi non lamentatevi se la gente scende in strada per vedere riconosciuti i più elementari diritti. Non bisogna più votare nessuno. Cari elettori sardi, state al fianco dei pastori, siate solidali con loro e alle prossime elezioni regionali disertate le urne per protesta! Fate sentire tutto il vostro sdegno verso chi non rispetta chi lavora per sopravvivere!

sabato 2 febbraio 2019

Toghe e politici, la trama siciliana nell'«almanacco» della corruzione

Richiesta di proroga dell'inchiesta omnibus di sul "sistema Amara": 31 indagati a Roma. Dalle mazzette ai giudici in convento, fino alla farsa del voto-bis all'Ars ecco tutte le carte dei maxi fascicolo di Roma 

 

 Toghe e politici, la trama siciliana nell'«almanacco» della corruzione

CATANIA - C’è molta Sicilia nell'ultima maxi-inchiesta sulla corruzione dei giudici del Consiglio di Stato (e non solo), che fa tremare qualche decina di colletti bianchi a livello nazionale.
Di siciliano, innanzitutto, c’è la matrice: Piero Amara, l’avvocato-facilitatore che muoveva i fili del cosiddetto “sistema Siracusa”. Del quale lo stesso Amara, assieme al sodale Giuseppe Calafiore, è ora un super-pentito con rivelazioni, riscontrate dai pm di Roma e di Messina, che hanno già inguaiato parecchi pezzi grossi.
E lo schema, anche stavolta, sembra lo stesso: verbali-fiume dei due professionisti, riscontri investigativi, file-sharing fra Procure. Amara, per la verità, è fra i 31 per i quali il procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo, lo scorso 21 dicembre ha chiesto la proroga delle indagini, notificata agli interessati qualche giorno fa dal gip Daniela Caramico D'Auria. Le ipotesi di reato sono bancarotta fraudolenta e rivelazione di segreto d’ufficio, le stesse contestate a Calafiore. La moglie di Amara (Sebastiana Bona) e il fratello di Calafiore (Diego) sono chiamati in causa per la sola bancarotta. Così come altre vecchie conoscenze del “sistema Siracusa”: l’imprenditore Alessandro Ferraro, Davide Venezia (condannato a 4 anni e 2 mesi per associazione a delinquere e corruzione dell’ex pm Giancarlo Longo), Marco Salonia (già indagato a Roma, ritenuto un prestanome dei due avvocati) e Sebastiano Miano (a processo nel filone messinese).
Si tratta di «un provvedimento “omnibus”», spiegano fonti giudiziarie, «in cui rientra anche il filone della corruzione in atti giudiziari». Un intreccio di inchieste, che ruotano tutte attorno al “pianeta Amara”. E che toccano i piani nobilissimi della giustizia amministrativa italiana. Nel registro degli indagati, per questa vicenda, è finito anche il presidente di Sezione del Consiglio di Stato, Sergio Santoro, in lizza per il ruolo di presidente aggiunto, ma anche il collega Nicola Russo (già coinvolto in una vicenda giudiziaria con l’imprenditore Stefano Ricucci), oltre che l’ex dirigente Antonio Serrao, oggi procuratore aggiunto Figc. Tutti indagati, a vario titolo, per corruzione in atti giudiziari.
Nel grande verminaio sull'asse Sicilia-Roma spuntano altri due giudici già citati (e all'epoca non indagati, ma adesso sì) nelle carte della prima tranche sulla rete di corruzione. Uno - nella chat segreta in cui Amara si faceva chiare “Peter Pan” e Calafiore era “Escobar” - incuriosì il Gico della guardia di finanza. E non solo per il nickname, “minkia69”. Si tratta di Luigi Caruso, ex giudice della Corte dei conti, oggi in pensione. Caruso, catanese d’origine, condannato nel 2011 a tre anni per corruzione e poi prosciolto in appello per prescrizione del reato, nell'informativa è definito in rapporti di «assidua frequentazione» con Amara. E ora è indagato per associazione a delinquere e corruzione in atti giudiziari. L’ex magistrato, come si legge nelle carte del sistema Siracusa, viene avvertito dall'avvocato siracusano di essere sotto intercettazione. Stessa soffiata arriva a Raffaele De Lipsis (ex presidente di Consiglio di Stato e Cga , già indagato nel filone romano per concorso in corruzione, coinvolto anche nella “traghettopoli” di Morace). Ma lui è scettico: «Vabbe’, tanto bisogna vedere quanto sia vero», dice al giudice Caruso. Che è tranchant: «Lo ha detto Piero (Amara, ndr)...».
Nella proroga delle indagini chiesta dai pm romani c’è un’altra vicenda che coinvolge toghe, ma anche politici siciliani. E si tratta di un’inchiesta sul caso “kafkiano” della ripetizione del voto per Regionali 2012, con gli elettori di nove sezioni di Pachino e Rosolini richiamati alle urne due anni dopo, nell'ottobre 2014. La vicenda non è nuova. In origine il fascicolo - trasmesso a fine 2016 dai pm di Catania ai colleghi di Palermo - si chiamava “Gennuso Giuseppe + 14”. Quindici indagati fra i quali, appunto, il deputato regionale Pippo Gennuso (arrestato lo scorso aprile per voto di scambio politico-mafioso, poi scarcerato dal Riesame che fece cadere l’aggravante mafiosa), assieme ai figli Luigi e Riccardo, ma anche gli onnipresenti Amara e Calafiore. Nella lista pure l’ex governatore Raffaele Lombardo e l’ex ministro Saverio Romano. Il pm di Palermo, Piero Padova, aveva chiesto l’archiviazione per tutti, ma il 30 maggio 2017 il gip Roberto Riggio dispose un supplemento d’indagine, ordinando l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex presidente del Cga, Raffaele De Lipsis, ritenuto «il terminale della attività posta da alcuni degli indagati». Archiviati cinque indagati fra i quali il vicepresidente dell'Ars, il lombardiano Roberto Di Mauro, e l’ex senatore Giovanni Mauro.
La novità, adesso, è che il fascicolo è finito alla Procura di Roma che continua a indagare, si presume sulla base di nuovi elementi, fra cui potrebbero esserci le rivelazioni di Amara. È l’inchiesta della celebre intercettazione in cui l’ex deputato regionale Enzo Vinciullo (totalmente estraneo ai fatti) sbotto: «Gli hanno fottuto i soldi!… i giudici… mi ha detto che questo scherzetto gli è costato 200mila euro». Vinciullo, sentito a Palermo, avrebbe detto di non ricordare da chi avesse appreso della presunta mazzetta. Ma il gip parla di Gennuso (non eletto nel 2012, poi conquista il seggio all’Ars grazie al voto-replay) e della sua attività «diretta a influenzare l’esito del giudizio» al Cga. Presieduto proprio da De Lipsis, nell'insolita veste di relatore-estensore della sentenza. Tracciati «i continui rapporti» dell’allora aspirante deputato con Amara e Calafiore, che «ufficialmente non hanno alcun incarico ma che si occupano attivamente della vicenda». Verifiche, su richiesta del gip, su un bonifico partito il 18 novembre 2013 dal conto corrente di Gennuso della Banca agricola popolare di Rosolini. E approfondito il contesto di alcune intercettazioni in cui il politico e i figli parlano di «cassette di papaya» da trasportare e di «sacchetti di plastica» da riempire con un non meglio identificato contenuto. Proprio alla vigilia di un viaggio a Roma. I Gennuso - padre e figli, Luigi e Riccardo - sono ora indagati a Roma: corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreto d’ufficio.
Auspica che il pm «voglia reiterare la richiesta di archiviazione in tempi rapidi», l’ex ministro Romano, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio, secondo lui legata solo a «una telefonata nel corso della quale mi congratulavo con l'interessato per la sentenza a lui favorevole su un contenzioso elettorale, specificando di avere appreso la notizia dall'avvocato Amara». La chiamata è del 4 febbraio 2014: «Ho notizie da Piero Amara... Quindi so che le cose vanno bene!...», dice l’ex ministro a Gennuso. Che, non essendo ancora stata depositata la tanto sentenza del Cga che lo riguardava, pur essendo stato informato dell'esito positivo, al telefono con l'ex ministro finge di non saperne nulla. «Ma già l'hanno pubblicata? Io ancora non lo so...».
L’ex governatore Lombardo è indagato per corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreto d’ufficio. Viene ritenuto parte di «una sorta di cordata» a sostegno di Gennuso. Tracciate decine di telefonate fra i due, ma anche numerosi incontri a Roma e a Catania per discutere del ricorso al Cga. «Sei sempre in cima ai miei pensieri...», è una delle rassicurazioni dell’ex leader dell'Mpa. Nelle indagini di Roma anche due uomini legati a Gennuso: Enzo Medica (ex assessore a Noto) e Walter Pennavaria, ex amministratore del Consorzio “Granelli”.
Giusto per non farsi mancare nulla, la lista dei 31 comprende anche uno 007. Ne parlammo, in occasione del suo arresto: Loreto Francesco Sarcina, 55 anni, ex carabiniere in servizio fino al luglio scorso all'Aisi. È lui, per ammissione di Amara e Calafiore, una delle talpe del sistema: lo pagarono (30mila euro) per rivelare dettagli delle indagini a loro carico. Arrestato a Roma dopo una lunga caccia anche dentro un convento dove il “Signor Franco”, così si faceva chiamare, consegnò una chiavetta Usb ai due avvocati in cambio del denaro, accolto da una suora dominicana di origini siciliane. Nella perquisizione a casa di Sarcina, i finanzieri trovarono un passaporto falso intestato a Rodrigo Martinez. Ma in quel documento c’era soltanto una cosa vera: la foto. Che immortala il volto di Aurelio Voarino (ora indagato). Chi è costui? Il capo della sicurezza privata di Ezio Bigotti (pure lui inquisito). Chi è Bigotti? Un’altra vecchissima conoscenza della Sicilia: il cliente di Amara è ritenuto il «beneficiario di utilità promesse» al magistrato Virgilio. Ma l’imprenditore Bigotti è anche “socio” della Regione con il suo 25% della partecipata Sicilia Partrimonio Immobiliare.
Può bastare? Sì, per adesso.

Twitter:@MarioBarresi

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