"Mi dissero che sarebbero venuti a prendermi dopo pochi mesi. Li sto ancora aspettando."
Mario
ha passato gli ultimi trentacinque anni della sua vita in un container
di amianto. Prima nelle sistemazioni provvisorie di Barra, poi, da
diciotto anni, nei bipiani di Ponticelli. È uno degli 'invisibili' del
terremoto dell'Irpinia del 1980, una tragedia che causò quasi tremila morti e oltre 280mila sfollati.
Siamo
alla periferia est di Napoli, un deserto economico-sociale venuto a
sostituire l'attivismo degli anni Settanta e Ottanta. Cirio, Fiat,
Corradini: di queste e di altre grandi aziende - un tempo insediate qui -
oggi non c'è più traccia. È così che Napoli Est ha smesso di essere il
traino industriale della città.
Oggi, tra case popolari e strade ricoperte di rifiuti, sorgono qui u bibiann,
i bipiani di Ponticelli. Un ghetto di diciotto container in alluminio
ed amianto, nati per dare una sistemazione provvisoria ai terremotati
dell'Irpinia, ma divenuti nel tempo la residenza stabile per più di
trecento persone.
Concepiti come un parcheggio provvisorio per gli sfollati, questi
campi vennero messi in piedi dalle amministrazioni regionali in vari
punti della provincia di Napoli nel corso degli anni Ottanta. Dei due
ghetti di Barra oggi non c'è più traccia: vennero demoliti verso la fine
degli anni Novanta dalla giunta Bassolino e sostituiti da un parco
pubblico, mentre le famiglie che vi abitavano vennero ricollocate in
nuovi complessi di abitazioni popolari costruite nell'area.
Non
tutti furono però così fortunati: Mario, ad esempio, fu trasferito nei
container di Ponticelli. Ancora oggi è qui che aspetta un ricollocamento
assieme ad altre famiglie.
A Ponticelli i bipiani di amianto in
effetti esistono ancora, sebbene un lotto sia stato abbattuto tra il
2003 e il 2011 a seguito di alcune tensioni etniche
tra i residenti kosovari e serbi. La stessa sorte non è toccata invece
al ghetto in Via Fuortes, divenuto ormai uno degli esempi più lampanti
dell'intreccio tra malapolitica, mentalità camorristica e invisibilità
sociale.
Pochi conoscono bene questo ghetto di sfollati, immigrati e abusivi
come Paolo Manzo, un fotografo napoletano che per quattro anni ha
sviluppato un progetto fotografico sull'area. Trovandosi a passare di
frequente davanti a questo scempio edilizio, ha deciso di entrarci per
documentare le condizioni di vita delle persone al loro interno.
"Iniziai
a conoscere gente, a capire che aria girava ed a scoprire veramente i
bipiani," racconta a oggi a VICE News. "All'inizio ho incontrato un po'
di diffidenza, ma con il passare del tempo gli abitanti hanno iniziato a
fidarsi di me."
Abbiamo chiesto a Paolo di accompagnarci a fare un giro tra i bipiani di Ponticelli.
Camminando
per i cunicoli ricavati tra i container, viene da stupirsi per come
queste persone siano riuscite a sopravvivere qui per tutto questo tempo.
C'è amianto ovunque, ma soprattutto condizioni igienico-sanitarie
disastrose—tra discariche a cielo aperto e tubature di scarico rotte.
Una perenne puzza di bruciato ci aggredisce sin dall'inizio,
aumentando man mano che si entra nel cuore dei bipiani. La centralina
elettrica, evidentemente sovraccaricata, è annerita dalle bruciature: da
qui, centinaia di fili elettrici si diramano per tutto il ghetto,
intrecciandosi a più riprese.
Entrando nelle case - se così si
possono definire questo tipo di baracche d'amianto - la situazione non è
tanto diversa. Per quanto le persone abbiano fatto di tutto per rendere
questi luoghi più accoglienti, portandoci televisori, mobili e tappeti
ornamentali, è impossibile non fare caso alle pareti corrose e solcate
da profondi aloni neri, segno dell'altissima umidità presente nei
container.
Il problema più serio, tuttavia, è anche quello meno visibile:
l'amianto. Dopo avere trascorso decenni rinchiusi in queste gabbie di
eternit, i residenti lamentano l'impatto che quest'ultimo ha sulla loro
quotidianità, soprattutto in estate.
L'utilizzo dell'amianto, prima che venisse vietato
negli anni Novanta, era dovuto alla sua capacità di trattenere il
calore. Nella stagione calda i container si trasformano in veri e
proprio forni, costringendo le persone a trascorrere la quasi totalità
del loro tempo all'aperto, sulle panche in pietra interposte tra i
container, dove spesso finiscono anche per mangiare e dormire.
Mario, che ha cinque figli di cui uno disabile, non ne può più di
vivere in queste condizioni. "Per ora l'amianto non ci ha ancora fatto
nulla, ma arriverà il nostro momento" racconta a VICE News.
In
effetti, il processo con cui questo materiale va a colpire le vie
respiratorie dell'uomo è molto lento—ecco perché, al momento, possiamo
soltanto immaginare l'effetto di questi container sulla salute dei
residenti. L'unica apparente certezza, almeno a sentire quelli che
vivono nel ghetto, è la causa di morte più diffusa tra i container: il
cancro. L'ultima vittima è stata una donna, deceduta l'anno scorso.
VICE News ha parlato con Roberto Braibanti, responsabile ambientale
di SEL per la Provincia di Napoli, da anni impegnato in una battaglia
per lo smantellamento dei bipiani e il ricollocamento delle persone
rinchiuse al loro interno.
"Il problema dei bipiani non è solo un
problema sociale, è anche un problema ambientale e di salute pubblica
non indifferente," afferma Braibanti, che sottolinea come peraltro
l'amianto sia attualmente nella sua fase di 'vita' più pericolosa,
quella dello sbriciolamento.
Per questo motivo i container in
amianto dei bipiani, oltre a essere un pericolo per i residenti del
ghetto, lo sono anche per tutta l'area limitrofa di Ponticelli,
investita da una nube invisibile di polvere di amianto trasportata dal
vento.
Quello che stupisce è la totale assenza di studi epidemiologici che
vadano a indagare il legame tra le morti nell'area e la presenza
dell'amianto. "È scomodo avere uno studio epidemiologico su questi
problemi," è il parere di Braibanti. "Se ci fosse uno studio che solleva
il problema, bisognerebbe poi dare una risposta. L'assenza di uno
studio permette invece di mantenere il silenzio."
Sebbene molte
delle famiglie dei bipiani abbiano intrapreso feroci battaglie per porre
fine a questa agonia, per altri residenti questa condizione non sembra
essere un peso. Secondo le famiglie italiane che vivono nel ghetto, agli
immigrati vivere nei bipiani va bene.
"Molti di loro sono
irregolari e un posto come questo gli garantisce l'invisibilità,"
racconta Mario a VICE News. "Altri invece sono regolari, come gli
albanesi, ma hanno una ricchezza [immobiliare] alle spalle" nella loro
terra d'origine. Secondo Mario, il loro unico interesse è di avere un
punto d'appoggio dove dormire alla fine del turno di lavoro.
Nei bipiani di Ponticelli di italiani ne sono rimasti pochi. Oltre
alla famiglia di Mario se ne contano altre nove, peraltro non tutte
legate al terremoto dell'Irpinia. È questo lo zoccolo duro dei residenti
del 'ghetto', famiglie che hanno assistito nel corso degli anni a un
vero e proprio via vai di persone.
Oggi i bipiani si presentano
come un mosaico di culture ed etnie differenti: italiani, albanesi,
kosovari, serbi, asiatici ed africani, ciascuno insediato nella sua fila
di container a formare un mappamondo in miniatura. Un quadro di
disperazione, tra chi è stato dimenticato trentacinque anni fa e chi
invece ha trovato in questi container - gelidi d'inverno e bollenti
d'estate - la migliore delle sistemazioni possibili.
Non è dato sapere chi gestisca questo piccolo business immobiliare,
ma è molto probabile che i clan della camorra possano avere un ruolo
nell'intera vicenda, spiega Braibanti. "Si tratta di un'attività tipica
della criminalità organizzata, e nessuno può davvero escludere che siano
le organizzazioni criminali a gestirli," continua il responsabile di
SEL. "Tuttavia, nessuno lo può provare in maniera dettagliata."
Secondo
Braibanti, più che di camorra bisognerebbe parlare di mentalità
camorristica, ovvero di quella propensione - appartenente tanto alla
criminalità quanto ai sottoboschi dell'amministrazione - a sguazzare nel
degrado e a trovare il modo di trarre profitto da simili situazioni.
Guadagnare sui residenti dei bipiani è comunque un'impresa ardua:
nella maggior parte dei casi queste persone non hanno un lavoro, e
difficilmente potrebbero trovare un'altra sistemazione fuori dal ghetto.
Considerato l'affitto irrisorio, alcuni di loro accettano la
sistemazione di buon grado.
Fu questo uno dei motivi che causò lo
stop temporaneo del progetto fotografico di Paolo Manzo. "Mi fermai
perché mi sentivo un po' tradito," racconta il fotografo a VICE News,
"alcune delle famiglie sono ormai assuefatte da questo disagio, ci
marciano e hanno smesso di lottare."Rosaria, 47 anni di cui gli ultimi diciassette vissuti nei bipiani, ha
una pena sospesa di un anno a causa del mancato pagamento delle bollette
elettriche. "In questa situazione pretendono pure che io paghi le
bollette," si sfoga. Rosaria teme che le forze dell'ordine possano
tornare per condurla in carcere. Allo stesso tempo, però, la donna è
intimorita anche da un'eventuale ricollocamento presso le case popolari.
"Non so se riuscirei a sopravvivere lì, con le bollette e tutte le
altre spese. Sono disoccupata e non mi è rimasto più nulla."
La disoccupazione non è comunque una costante dei residenti dei
bipiani. C'è chi faceva l'autista di veicoli commerciali, come Mario;
chi lavora in una ditta di trasporti, come Moussa; chi ha un trascorso
da pizzaiolo, come Andrea.
Chi non ha un lavoro, s'inventa
qualcosa: un ragazzo smonta pezzi di automobile e li rivende, un altro
spaccia. Secondo quanto ci raccontano, c'è anche chi si prostituisce per
gli uomini del ghetto.
In tutto questo, chi manca all'appello sono le istituzioni. Sebbene
alcune famiglie siano ormai assuefatte dal disagio, molte altre si
svegliano ogni mattina nella speranza di ricevere la chiamata per il
ricollocamento.
Sono le stesse famiglie che hanno cercato, nel
frattempo, di includere una piccola dose di dignità tra i cunicoli che
separano i container. Passeggiandoci si intravede infatti qualche
aiuola, un po' di verde qua e là.
C'è perfino un bar. Lo gestisce Pasquale, che offre ai "concittadini" dei bipiani un piccolo luogo di aggregazione sociale.
Secondo
Roberto Braibanti, è proprio questo il problema di Napoli Est. "I
bipiani non sono l'unico esempio di disastro sociale nella zona. Ci sono
molti altri lotti eretti nel post terremoto con problemi di vivibilità"
racconta. "In questi nuovi quartieri mancano elementi di aggregazione
sociale, non ci sono i servizi e non c'è alcuna possibilità lavorativa."
L'unico momento in cui le istituzioni si fanno vedere è in periodo di
campagna elettorale. "Politici, ispettori sanitari, assistenti sociali
compaiono solo nel periodo delle elezioni, poi scompaiono fino alla
tornata elettorale successiva," racconta a VICE News Andrea. "Ecco
perché ormai abbiamo smesso di votare."
L'anno scorso, a
Ponticelli è comparso anche il premier Matteo Renzi. Una visita a una
fabbrica locale di elicotteri, un giro presso il nuovo e futuristico
Ospedale del Mare progettato con la consulenza di Renzo Piano, il
ritorno a Roma.
"Il premier si è guardato bene dall'andare a vedere i veri problemi di quell'area, come i bipiani o l'area inquinata della Q8,"
è l'accusa di Roberto Braibanti. "Accendere i riflettori su queste
problematiche costringerebbe lo Stato a dare delle risposte."
Articolo:Luigi Mastrodonato
Fotografie: Paolo Manzo
Fonte
Commento di Oliviero Mannucci: L'articolo in questione è di circa un anno fa, ma le cose non sono affatto cambiate, così stavano e così sono rimaste. Ho potuto visitare personalmente vari paesi dell'Irpinia nel 1986. C'erano interi paesi abbandonati, la gente era stata trasferita nei containers, spesso a qualche chilometro di distanza. Interi ospedali baraccati. I politici poi si lamentano, " va sempre meno gente a votare", "c'è troppa distanza tra i cittadini e le istituzioni", "perché la gente si disinteressa della politica?", " non bisogna far governare i 5 Stelle". Io non parteggio per nessuno, tutti coloro che entrano in politica che vengono pagati profumatamente dai cittadini, se non risolvono questi problemi, non sono degni di rappresentare nessuno e andrebbero cacciati a calci nel culo. Cari lettori di "LADRI D'ITALIA" ricordatevi di queste immagini quando dovrete pensare se andare o non andare a votare. Votare uno o l'altro schieramento significa leggittimare un sitema di cose che fa acqua da tutte le parti. Se andate a votare dopo non avete il diritto di lamentarvi di come vanno male le cose. Voi con il vostro voto diventate complici di chi sta distruggendo l'Italia. Ricordatevelo!
"LADRI D'ITALIA" E' L'ORGANO D'INFORMAZIONE DEL MOVIMENTO POPOLARE DI LIBERAZIONE NAZIONALE "CULO A STRISCE", CHE SI PREFIGGE DI MANDARE A CASA CON LE BUONE ( o con le cattive, facendogli APPUNTO, il culo a strisce) TUTTI I POLITICI CHE CAMPANO SULLE SPALLE DI MILIONI DI CITTADINI GUADAGNANDO MIGLIAIA DI EURO AL MESE PER NON FARE QUASI UN CAZZO E RENDERE LA VITA IMPOSSIBILE A CHI SI GUADAGNA LA VITA CON IL SUDORE DELLA PROPRIA FRONTE.
IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO
sabato 2 dicembre 2017
sabato 11 novembre 2017
Caos Tari, la tassa sui rifiuti I Comuni l’hanno “gonfiata”
La gran parte dei municipi italiani ha applicato la quota variabile alle pertinenze dell’utenza domestica chiedendo ai contribuenti più di quanto dovevano versare. L’interrogazione del parlamentare 5 Stelle, Giuseppe L’Abbate, e la replica del Mef
Anche
stavolta il diavolo sta nel dettaglio. Ad accorgersi del dettaglio un
giovane parlamentare del Movimento 5Stelle, Giuseppe L’Abbate. Con
l’aiuto del suo commercialista ha notato che nel versamento della tassa
sui rifiuti qualcosa non quadrava e per questo ha fatto un’interrogazione parlamentare.
Il suo comune, Polignano a Mare nel barese, nel suo regolamento per la
Tari aveva applicato la quota variabile a tutte le pertinenze
dell’utenza domestica, compresi box e cantine. In realtà, come ha chiarito recentemente il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta,
si tratta di un’errata comprensione della legge di primo livello,
secondo la quale la Tari, per la parte variabile, va applicata soltanto
all’abitazione e non anche alle pertinenze.
Peccato che finora siano stati in pochi,
nei regolamenti Tari, ad applicare la normativa come andava fatto ed è
pertanto complicatissimo comprendere quanto i contribuenti abbiano già
versato impropriamente. Per capire però se si è stati frodati nostro
malgrado, è necessario constatare sull’avviso di pagamento — che
contiene il riepilogo dell’importo da pagare — le istruzioni per il
versamento (scadenza rate e codice tributo) nonché il dettaglio delle
somme. È in questa parte che l’ente indica le unità immobiliari (con i
dati catastali: foglio, particella, sub), la superficie tassata, il
numero degli occupanti e la quota fissa e variabile distinta per ogni
unità immobiliare. La quota variabile, ricordiamo, deve essere presente
solo per l’abitazione, non anche per le eventuali pertinenze. Per chiedere invece eventuali rimborsi è necessario attendere una
circolare ministeriale del ministero dell’Economia, di cui lo stesso
Baretta dovrà farsi carico, magari concertandosi con le associazioni dei
consumatori.
sabato 14 ottobre 2017
ARRIVA IL FISCAL COMPACT, UNA SCIAGURA PER L'ITALIA,E NESSUNO NE PARLA!!!
Alzi la mano chi nelle ultime settimane
ha visto anche solo un trafiletto o un qualche servizio televisivo
menzionare il Fiscal Compact.
In un clima già da campagna elettorale inoltrata, non passa giorno senza leggere di alleanze che si creano e si disfano, di questo o quell’esponente politico che passa da uno schieramento all’altro, di sondaggi e intenzioni di voto. Questo per non parlare delle infinite discussioni intorno alla possibile legge elettorale con la quale dovremmo andare a votare il prossimo anno. Peccato che qualsiasi futura maggioranza parlamentare e qualsiasi governo dovesse insediarsi all’indomani del voto rischia di essere, se non commissariato, per lo meno fortemente limitato nelle proprie scelte. Se lo scopo principale di un governo è infatti quello di gestire e indirizzare le risorse disponibili per attuare determinate politiche, il futuro sembra verrà deciso altrove. Entro la fine dell’anno, il Parlamento dovrà ratificare il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, meglio noto come Fiscal Compact.Tra le diverse disposizioni, questo trattato prevede l’obbligo di riportare entro 20 anni il rapporto tra debito pubblico e Pil alla fatidica soglia del 60%, uno dei parametri degli accordi siglati a Maastricht all’inizio degli anni ’90. Parametri fortemente criticati per la loro arbitrarietà, a maggior ragione perché da applicarsi indistintamente, senza considerare le specificità di un paese, la fase economica o la situazione sociale e occupazionale. L’Italia ha oggi un rapporto tra debito e Pil superiore al 130%. Sarebbe lungo il discorso su come si è arrivati a tale percentuale. Basti ricordare che da oltre il 120% della metà degli anni ’90, si è scesi al 103% nel 2008, per poi registrare un’esplosione che è seguita, in Italia come nella maggior parte delle economie occidentali, allo scoppio della bolla dei mutui subprime. In altre parole una crisi della finanza privata il cui conto è stato scaricato su quella pubblica. Al culmine del paradosso, la prima è ripartita a pieno ritmo, inondata di soldi tramite quantitative easing e altre politiche monetarie, mentre alle finanze pubbliche vengono imposti tagli e controlli durissimi. Ancora peggio, con un ribaltamento dell’immaginario collettivo le responsabilità delle attuali difficoltà vengono addossate ai debiti pubblici.
Tale ribaltamento di cause e conseguenze della crisi
è la giustificazione per volere introdurre un trattato con forza
superiore alle legislazioni nazionali che ci imporrà di scendere dal
130% al 60% in venti anni. Secondo i suoi difensori, il Fiscal Compact
più o meno “si pagherà da solo”. Crescita dell’economia
e inflazione dovrebbero garantire un aumento del Pil che porterebbe a
ridursi il rapporto debito/Pil. “Basterebbe” quindi un avanzo di
bilancio non troppo gravoso per rispettare i dettami del Fiscal Compact.
Dovremmo quindi imporci di rinunciare a qualsiasi margine di manovra
dei prossimi governi per realizzare avanzi primari, ovvero sempre più
tasse e sempre meno servizi erogati. Questo nella migliore delle
ipotesi. Non è chiaro chi abbia la sfera di cristallo per potere
prevedere crescita dell’economia e inflazione su un periodo di venti anni. I risultati del recente
passato – per non parlare di possibili nuove crisi in un mondo sempre più dominato dalla finanzaspeculativa – non invitano certo all’ottimismo. In caso di una nuova, probabile, flessione dell’economia,
rispettare il Fiscal Compact significherebbe un disastro sociale ed
economico. Quello che però colpisce di più è l’affermazione definitiva
della tecnocrazia sulla democrazia.
Qualsiasi futuro governo dovrà operare entro margini strettissimi e imposti da una visione dell’economia
come una scienza esatta, guidata da regole matematiche dove il
benessere dei cittadini o l’ambiente diventano le variabili su cui
giocare, mentre i parametri macroeconomici sono immutabili.
Indipendentemente da cosa ci riserva il futuro, il debito va ridotto a
marce forzate e questo va garantito a ogni costo. Che il costo sia
disoccupazione, perdita di diritti, impossibilità di investire per una trasformazione ecologica dell’economia,
non è un problema, non può essere nemmeno materia di discussione. Attac
Italia ha provato a rompere il silenzio lanciando una campagna di
informazione e una petizione da firmare on-line. Perché è a dire poco
incredibile assistere al livello di un dibattito concentrato sulle
presunte responsabilità dei migranti, mentre in un Paese con 4,8 milioni
di persone in povertà assoluta stiamo affermando che ci imponiamo
vent’anni di alta pressione fiscale e tagli alla spesa pubblica e ai diritti
fondamentali. Il problema non è e non può essere “prima gli italiani”.
Il problema è se sia possibile sancire che la vita delle persone – di
tutti noi – sia sacrificabile nel nome di una percentuale decisa decenni
fa da qualche burocrate.
(Andrea Baranes, “Fiscal cosa?”, da “Sbilanciamoci” del 10 ottobre 2017. Per informazioni e per firmare la petizione: www.stopfiscalcompact.it).
via Libreidee
giovedì 28 settembre 2017
Concorsi truccati all'università, a Firenze i primi interrogatori di garanzia dei docenti
Il rettore dell'Ateneo fiorentino: "Siamo doppiamente feriti perché non vogliamo che una malattia venga scambiata per una epidemia". Il sindaco di Firenze: "Storia odiosa, avvelena i pozzi della cultura"
Firenze, 26 settembre 2017 - Università nella bufera: inizieranno oggi pomeriggio gli interrogatori di garanzia dei docenti coinvolti nell'inchiesta per corruzione in ambito accademico.
Il primo ad essere sentito dal gip Antonio Pezzuti sarà Adriano Di Pietro, uno dei sette finiti agli arresti domiciliari. Gli interrogatori riguarderanno anche i 22 professori sottoposti alla misura dell'interdizione. Dopo i destinatari della misura, il gip interrogherà gli accademici per i quali si era riservato la decisione l'interdizione: tra questi l'ex ministro Augusto Fantozzi. IL RETTORE DELL'ATENEO FIORENTINO - "Noi siamo i primi a volere che siano accertate quanto prima le responsabilità e se accertate che la punizione sia severa, rigorosa, esemplare. Ma nella comunità universitaria italiana ci sono migliaia di professori e di ricercatori che lavorano con onestà e hanno come faro il merito, la valutazione e la trasparenza. Siamo doppiamente feriti perché non vogliamo che una malattia venga scambiata per una epidemia. Lo ha detto, stamane in una conferenza stampa, il rettore dell'ateneo fiorentino, Luigi Dei, commentando quanto emerso finora nell'ambito dell'indagine sui concorsi truccati. "Questi fatti - ha osservato il rettore - feriscono in prima battuta e soprattutto la comunità universitaria. Siamo colpiti, tristi e amareggiati. Cose di questo genere non dovrebbero mai succedere".
IL SINDACO DI FIRENZE NARDELLA - "Mi rivolgo ai tanti studenti, ricercatori e professori che ogni giorno si impegnano con onestà, dedizione e passione, affinché rompano il vergognoso velo di omertà che ancora oggi copre il mondo della ricerca e dell'università. È il momento di reagire per il bene dell'Italia, per restituire fiducia ai cittadini e per lasciare ai nostri giovani l'opportunità di provarci e di far valere il proprio talento e il proprio sacrificio". Lo scrive in un post su Facebook il sindaco di Firenze Dario Nardella, in merito all'inchiesta sui concorsi truccati all'università. "Mi colpisce al cuore la notizia degli arresti e delle indagini su decine di professori universitari in tutta Italia, accusati di aver truccato concorsi pubblici spartendosi cattedre e favori. Mi colpisce in maniera particolare perché si parla di un mondo che conosco bene e nel quale ho speso molti anni della mia vita come studente, come dottorando di ricerca e come docente precario" ha aggiunto.
"E mi ferisce - aggiunge - perché è un caso diffuso in tutta Italia e tocca anche la mia città, Firenze, capitale della cultura e simbolo di quel Rinascimento di arti e di pensiero che ha nutrito per secoli l'umanità intera. Questa storia è odiosa perché avvelena i pozzi della cultura, della ricerca e della formazione, distrugge la speranza delle nuove generazioni e mina la fiducia dei cittadini verso l'istituzione universitaria che dovrebbe essere la colonna portante di un paese. Non dobbiamo arrenderci alla miseria umana e morale che ha contagiato i nostri atenei". "Chiediamo anzitutto alla magistratura - aggiunge Nardella - di fare presto e, se accertate le responsabilità, di punire in modo esemplare chi si è macchiato di questi reati. Truccare un concorso vuol dire uccidere la meritocrazia e compromettere il sogno di crescita e la credibilità di un paese e della sua classe dirigente". «Noi siamo i primi a volere che siano accertate quanto prima le responsabilità e se accertate che la punizione sia severa, rigorosa, esemplare. Ma nella comunità universitaria italiana ci sono migliaia di professori e di ricercatori che lavorano con onestà e hanno come faro il merito, la valutazione e la trasparenza. Siamo doppiamente feriti perché non vogliamo che una malattia venga scambiata per una epidemia». Lo ha detto, stamane in una conferenza stampa, il rettore dell'ateneo fiorentino, Luigi Dei, commentando quanto emerso finora nell'ambito dell'indagine sui concorsi truccati. «Questi fatti - ha osservato il rettore - feriscono in prima battuta e soprattutto la comunità universitaria. Siamo colpiti, tristi e amareggiati. Cose di questo genere non dovrebbero mai succedere». (ANSA).
Commento di Oliviero Mannucci: Questo è il principale motivo perchè l'Italia non spiccherà mai il volo. Ci sono troppi personaggi, in tutti gli ambiti, che si credono furbi e invece sono dei semplici COGLIONI!!!!
sabato 9 settembre 2017
Della serie la democrazia delle banane - Vietata a Roma la manifestazione contro la classe politica al Governo
di armando mannocchia
- |
La manifestazione Avviso di sfratto in programma il 12 settembre ci è stata vietata! Viene leso uno dei più importanti Diritti inalienabili, quello di manifestare le proprie opinioni e il proprio dissenso. Nel contempo viene violata anche la Costituzione Italiana
Prendiamo atto di essere in un regime dittatoriale! Oltre a vederci bloccati sui profili e sulle pagine dei social, e quindi lesi nella libera espressione e di stampa, ora ci impediscono anche di manifestare. E’ di una gravità inaudita vietare una manifestazione spontanea, di popolo, pacifica, civile, democratica e autorizzata, indetta da una persona al di fuori delle parti e soprattutto al di sopra di ogni sospetto dal punto di vista etico e morale.
Ma non dobbiamo farci intimidire. Armando Manocchia, il promotore dell’evento , come da programma, nonostante sia consapevole delle conseguenze alle quali potrà andare incontro con questo regime, sarà in piazza Montecitorio il 12 settembre alle ore 15 per esercitare un diritto inalienabile sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dalla Costituzione Italiana.
Siamo determinati più che mai ad andare avanti e ritiene che, malgrado stiamo accettando di tutto, ingiustizie, vessazioni, soprusi, ruberie, con la giustificazione che sia per il bene di tutti, non possiamo accettare che vengano lesi, violati alcuni diritti fondamentali, diritti inalienabili come la possibilità di manifestare il proprio dissenso e di esprimere le proprie opinioni. Questo NO. Questo non lo dobbiamo accettare mai!
Questo divieto ad una manifestazione spontanea, di popolo, assolutamente civile, democratica e indiscutibilmente pacifica, aldilà di come è stata dipinta dal Questore di Roma in un atto arbitrario e politico, oltre che illegale, incostituzionale, soprattutto offensivo e lesivo della onorabilità del promotore e dei Cittadini che vi hanno aderito, descritti come persone che potrebbero mettere a rischio la sicurezza e l’ordine pubblico. Anche una Boldrini arriva a capire che quella del questore non è una azione nell’esercizio delle sue funzioni, ma una azione politica vera e propria a difesa di un sistema che sta depredando, desovranizzando e dissolvendo l’Italia e gli Italiani e che il questore, ordinamento giuridico alla mano e magistratura non collusa, avrebbe da tempo dovuto o dovrebbe reprimere quanto prima.
Abbiamo tentato persino una mediazione con la questura, ma l’esito è stato negativo. Interposte persone da noi incaricate, hanno tentato di dialogare con funzionari della questura di Roma al fine di far notare che questa situazione non è risolvibile attraverso il ricorso al TAR del Lazio, perché non ci sono i tempi tecnici. Non è risolvibile nemmeno attraverso il ricorso al Capo dello Stato, non soltanto per i tempi tecnici, ma soprattutto perché non ci sono i presupposti per fare ricorso al Capo dello Stato, visto che lo scopo stesso della manifestazione, non riconosce l’occupante abusivo del Quirinale come Presidente della Repubblica perché anch’egli, come il governo e il Parlamento, è incostituzionale.
Inoltre, è stato fatto loro notare che non è risolvibile, perché è tecnicamente e materialmente impossibile fermare decine, se non centinaia di migliaia di persone che hanno aderito spontaneamente ad una manifestazione di popolo, una manifestazione pacifica e apartitica per esprimere civilmente il dissenso a questa casta di parassiti, collusi, indagati, rinviati a giudizio, condannati, ladri, corrotti, corruttori, golpisti e traditori della Patria.
Manocchia fa sapere che, per correttezza, i Cittadini, i comitati, le associazioni, nonché i partiti e movimenti che hanno aderito, sono stati informati sul fatto che la manifestazione è stata VIETATA attraverso un comunicato stampa pubblicato su imolaoggi.it, nel quale non invita la gente a partecipare per non offrire alla Gestapo e detrattori vari l’assist per aggravare la sua posizione e quindi invita a decidere secondo coscienza se aderire e partecipare o meno e soprattutto a decidere in funzione di cosa vogliono fare per gli Italiani e per l’Italia. Insomma, decidere se si vuole continuare a far sì che questa cloaca, questa casta di criminali continuino a svendere e distruggere il nostro Paese ed a massacrare e schiavizzare il suo popolo.
Manocchia è eventualmente reperibile al 3398704071
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