IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

lunedì 30 settembre 2013

No Muos: quando un popolo si ribella alla sudditanza

corteo-no-muosPalermo. L’immagine di Emmanuel, 2 anni e mezzo, che corre felice verso gli agenti in tenuta antisommossa posizionati davanti alla presidenza della Regione Siciliana vale più di mille parole. L’ennesimo tentativo di creare paura e tensione a ridosso della manifestazione organizzata dal movimento No Muos con lo spauracchio di una possibile presenza dei “black bloc” si infrange dinnanzi ad un popolo variopinto che protesta pacificamente. “Questa è la mia terra ed io la difendo e tu?”, è Salvatore Borsellino a ricordare le parole di Giuseppe Gatì, il ragazzo salito alle cronache per la contestazione a Vittorio Sgarbi, in difesa del pool antimafia, morto nel 2009 a 22 anni in un incidente sul lavoro. “Sono qui oggi insieme ai cittadini siciliani – afferma con forza il fratello del giudice assassinato da Cosa nostra e leader delle Agende Rosse –, per impedire che contro la mia terra venga perpetrata l’ennesima violenza”.  Per Borsellino il presidente della Regione, Rosario Crocetta, è stato “non solo debole, ma contraddittorio ed ondivago. Crocetta prima si era opposto a queste centrali di morte, poi si è tirato indietro con la scusa delle penali. Io penso che ci sono elementi di salute pubblica che giustificano lo stop alla costruzione del Muos. Le antenne non devono essere costruite e cercheremo con ogni mezzo di impedirlo”. E contro quella che viene definita una vera e propria “sudditanza” di Crocetta nei confronti degli USA e del loro diktat sull’installazione del Muos in Sicilia c’è il comitato delle “mamme no-Muos” a far sentire forte la propria protesta. Sono donne di diverse età che portano al collo un cartello con scritto “non siamo cavie”, difendono il diritto alla salute dei loro figli e di tutti quei siciliani che si trovano a vivere vicino alle parabole Muos. Quello stesso cartello pende al collo di centinaia di partecipanti: uomini, donne, vecchi e bambini. Tornano in mente le parole dei professori Massimo Zucchetti (ordinario di Impianti nucleari del Politecnico e research affiliate del MIT – Massachusetts Institute of Thecnology) e Massimo Coraddu (consulente esterno del Dipartimento di energetica), messe nero su bianco in un rapporto del 2011. Stralci di quel rapporto erano stati riportati in una scheda preparata dal giornalista scrittore, Antonio Mazzeo, per conto della Delegazione di sindaci e rappresentanti dei Comitati No MUOS, in audizione a Roma (11 settembre 2012) davanti alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati e del Comitato d’inchiesta sull’uranio impoverito del Senato della Repubblica. Il rapporto dei due ricercatori aveva rilevato “l’insostenibilità ambientale del nuovo impianto” e le “gravi carenze” degli studi effettuati dagli americani. “Nella valutazione redatta dalla US Navy nel 2008 – avevano scritto Zucchetti e Coraddu – non viene neppure esaminato quello che probabilmente è il peggiore dei rischi possibili: un incidente che porti all’esposizione accidentale al fascio di microonde, pericolosissimo e potenzialmente letale, anche per brevi esposizioni, a distanze inferiori a circa 1 Km”. “Nonostante gli scarni dati disponibili – avevano aggiunto i due ricercatori – con la realizzazione delle nuove antenne si verificherà un incremento medio dell’intensità del campo in prossimità delle abitazioni più vicine pari a qualche volt per metro rispetto al livello esistente, con la possibilità del verificarsi di punti caldi, con un incremento del campo nettamente superiore. C’è poi il rischio di effetti acuti legati all’esposizione diretta al fascio emesso dalle parabole MUOS in seguito a malfunzionamento o a un errore di puntamento. I danni alle persone accidentalmente esposte a distanze inferiori ai 20 Km saranno gravi e permanenti, con conseguente necrosi dei tessuti”. Possibilità quindi di ammalarsi con maggiori probabilità di Cancro o di qualche forma di leucemia, così come aveva già spiegato Rino Strano, medico, referente regionale del Wwf Italia ed esponente dei Comitati No Muos. “Siamo condannati a morte da queste antenne che stanno già procurando, leucemie, casi di cancro, malformazioni e noi non possiamo dire nulla perché ci sono accordi segreti tra Usa e Italia”. Il dott. Strano specificava di parlare delle 41 antenne NRTF N8 (già attive in provincia di Caltanissetta, in contrada Ulmo, ndr) che “da vent’anni stanno distruggendo la nostra terra e la nostra gente”. “Ho presentato un documento che è stato subito allegato agli atti: un ‘Registro-Tumori’, redatto dalla provincia di Caltanissetta, riguardante un periodo che va dal 2004 al 2008 e dalla quale si evince un aumento considerevole dei casi di morte per tumore fra gli abitanti della zona di Niscemi (dove si trovano le parabole Muos, ndr). Ho trovato anche un militare americano che ha lavorato per 4 mesi sotto le ‘antenne della morte’, ammalatosi di Leucemia, il militare,  ha riferito che molti suoi colleghi si sono ammalati di leucemia, molti fra loro sono già morti, altri ancora, presentano i sintomi di un possibile tumore alla tiroide. Ho consegnato una relazione medica contenente la cartella clinica del militare consistente in 324 pagine, la mia relazione medica ed un dvd riportante la registrazione dell’intervista rilasciata dal militare, intervista fatta, attraverso il militare”.
Mesi fa il New York Times aveva definito la base Nato di Sigonella “Capitale” per i suoi attuali 7500 droni in servizio. A questo serviranno le due antenne alte 149 metri e le tre grandi parabole dal diametro di oltre 18 metri. Eccolo il sistema di telecomunicazioni satellitari della marina Usa, il Muos (Mobile User Object System), dotato di cinque satelliti geostazionari e quattro stazioni di terra. Una sorta di mega telecomando planetario per i Droni. Così come ha spiegato il giornalista Ennio Remondino Sigonella sarà collegata direttamente a due satelliti: l'Ufo e l'Inmarsat. I droni “siciliani”, resistenti a lunghe distanze di volo anche fino a 20 chilometri dal suolo, comunicheranno con loro. Grazie ai propri sensori radar saranno quindi in grado di intercettare oggetti fermi o in movimento. Le informazioni raccolte verranno di seguito trasmesse in tempo reale nella base centrale Mos (Mission operation support), di Sigonella dove hanno già fatto il loro ingresso segretamente altre flotte di droni, Black Hawk che già Usa e Cia utilizzano a livello internazionale. A rivelare la presenza in Sicilia degli armamenti segreti, oltre al NYT è l'Osservatorio di Politica Internazionale che ha sostenuto, testualmente: “In considerazione di tale situazione (l’allarme mondiale di attentati ad opera di al Qaeda, la Primavera Araba, l’attacco al consolato di Bengasi e le varie minacce di guerre, ndr), la Difesa Italiana ha concesso un’autorizzazione temporanea allo schieramento di ulteriori assetti americani a Sigonella”. E ovviamente ci saranno anche gli 800 militari Nato (entro il 2015), per far funzionare quello che a tutti gli effetti è un terrificante “war game”. Ed è contro questa politica di morte che i siciliani si oppongono. Sono le 16,15 quando il corteo parte da Piazza Politeama al coro di “No Muos fino alla vittoria!”. “No al Muos, no alla guerra, assediamo i palazzi del potere” è scritto sullo striscione che apre il corteo. Migliaia di persone provenienti da tutta Italia sfilano per le vie principali di Palermo, destinazione: la presidenza della Regione. Il balletto sul numero dei presenti è quello solito: 2000, 3000, 4000, di meno, di più. In piazza arriva Leoluca Orlando: “La nostra presenza – afferma il sindaco di Palermo – è una naturale conseguenza della scelta politica operata dall'amministrazione e dal Consiglio comunale che hanno espresso in modo chiaro la contrarietà a qualsiasi atto contrario alla naturale vocazione di Palermo e della Sicilia quali luoghi di pace e dialogo fra i popoli”. Poco più là c’è Fabrizio Ferrandelli, deputato regionale del Pd, che afferma l’importanza di battersi affinché la Sicilia “non si trasformi in un avamposto militare”. C’è anche il leader di Azione Civile, Antonio Ingroia, a protestare contro il Muos. “L’unica speranza è non arrendersi mai” si legge su una maglietta dell’associazione antimafie Rita Atria, tra i principali sostenitori della manifestazione e delle iniziative No Muos. Tra la folla c’è anche Salvo Vitale, storico amico e compagno di lotte di Peppino Impastato, che osserva attento questo popolo in marcia per difendere i propri diritti. Nel suo sguardo brillano le sue battaglie accanto a Peppino. Ed è come se il tempo non fosse mai passato. Tra i partecipanti c’è pure Saverio Masi, il maresciallo dei carabinieri che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi superiori per non aver voluto catturare Provenzano e Matteo Messina Denaro in alcune occasioni. Dalla sala d’Ercole (dove si svolgono le sedute dell’Assemblea regionale siciliana, ndr), occupata da venerdì pomeriggio da dieci attivisti No Muos, viene diramato un comunicato stampa in cui vengono ribadite le ragioni dell’occupazione: “Il Muos è uno strumento di sopraffazione militarista e di insensibilità verso la salute delle persone. Serve a fare la guerra, a pilotare i droni per neutralizzare il rischio dell’obiezione di coscienza, ferire la carne viva del popolo niscemese. Il movimento No Muos si oppone al fatalismo rassegnato con cui qualcuno vorrebbe farci credere che tutto questo sia inevitabile, che la soggezione del presidente Crocetta verso le autorità statunitensi sia l’unico abito che il popolo siciliano può indossare in questo momento cruciale della nostra vita collettiva”. Nel frattempo i deputati del Movimento 5 Stelle Giorgio Ciaccio, Claudia La Rocca e Giampiero Trizzino srotolano uno striscione di venti metri che recita: “L’Italia ripudia la guerra (‘Italia’ è sbarrato e accanto, in rosso, è scritto ‘la Sicilia’), No muos”. Sono le 18,50 quando i manifestanti si posizionano tra Palazzo d'Orleans, sede della Regione, e l’ingresso secondario di Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea regionale. In molti gridano: “Non ci sono black block ma solo cittadini che ripudiano la mafia e la violenza!”. Poco prima delle ore 20 gli attivisti No Muos che avevano occupato Sala D'Ercole escono dal Palazzo dei Normanni tra i cori e gli applausi. “La lotta continua, si torna a Niscemi!”, gridano gli organizzatori. Ma la lotta continua – ancora più subdola e strisciante – anche nell’agone politico, tra le diplomazie internazionali, sulla pelle dei cittadini.

Fonte

DENARO, SUDDITI E SOVRANI: DECIDE TUTTO UNA LOBBY

Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, durante la recente presentazione a Napoli del suo nuovo libro “La Repubblica delle stragi impunite”, ha affermato: «Il Gruppo Bilderberg è uno dei responsabili della strategia della tensione, e quindi anche delle stragi». Imposimato riferisce di aver trovato per la prima volta menzione della parola Bilderberg nelle carte delle indagini del giudice Emilio Alessandrini, che «venne assassinato durante gli anni di piombo da un “commando” del gruppo terroristico Prima Linea». 

Tra gli italiani componenti del Gruppo Bildenberg e della Trilateral Commission compaiano Mario Monti, ex presidente del Consiglio, John Elkann, presidente del gruppo Fiat, Pier Francesco Guarguaglini, ex presidente di Finmeccanica, Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli, ed Enrico Letta, vicesegretario del Partito democratico e attuale presidente del Consiglio. 

E’ da notare che gli ultimi due presidenti del consiglio in Italia sono il frutto di una raffinatissima strategia del “golpe morbido”, che comporta anche un dispiegamento allineato dei maggiori media italiani sulla linea “Euro fino alla morte!”, che comporta la dissuasione violenta del pubblico italiano con argomenti che poco o niente avrebbero a che fare con l’economia reale di un paese cosciente del suodiritto nativo alla sovranità economico-monetaria.
In un intervento durante una conferenza alla facoltà di scienze politiche dell’università di Milano, ho individuato in un fatto ben preciso il possibile risultato ottenuto con le bombe nelle banche e la strage di Piazza Fontana avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969: l’interruzione dello sconto alla pari dei Buoni del tesoro (Bot) da parte della Banca d’Italia (un ente privato che, all’epoca, era di proprietà di banche statali).

In sostanza sostengo che i 22 anni cosiddetti “di piombo”, in Italia, iniziati con piazza Fontana, dovevano culminare con la firma del Trattato di Maastricht del 1991 che comportò l’adozione della circolazione dell’euro come moneta legale dal 1° gennaio 2002. Il punto su cui ritengo importante soffermarsi è la valutazione dei rapporti di potere esistenti tra l’amministrazione pubblica ed il sistema monopolistico delle banche (private). Nella mia definizione di banche private rientrano anche quelle banche centrali che, ancorché apparentemente sotto controllo pubblico come in Francia ed Inghilterra, mantenendo il falso in bilancio dell’emissione monetaria al passivo, nascondono i veri proprietari occulti. Il rapporto di forza banche-Stato, in Italia, è quindi scandito da un periodo in cui lo Stato può finanziarsi ottenendo fondi illimitati, scontando alla pari i buoni del Tesoro, fino al 1969, ed un momento in cui la sua sovranità monetaria viene ridotta al lumicino con la rinuncia anticostituzionale del Trattato di Maastricht (1991) che lascia solo la facoltà – limitata dalle indicazioni quantitative della Bce – dell’emissione di monete metalliche in euro.

A questo proposito notiamo che al Vaticano è andata meglio: secondo i patti bilaterali con la Ue, l’ammontare annuale delle monete da coniare viene almeno stabilito da un comitato misto Vaticano-Ue. Quindi, se nel 1969 il rapporto di potere monetario Stato-banche era di 1 a 1, nel 1992 – poco dopo le stragi Falcone e Borsellino e la seguente adozione in Parlamento del Trattato di Maastricht – il rapporto diventa dell’ordine di 1 a mille. In pratica, lo Stato conia monete mentre il sindacato bancario (banche centrali più banche commerciali) stampa banconote e inventa depositi di denaro contabile per un importo enormemente superiore. Se la mia tesi è vera – ecco quindi l’eterodirezione del terrorismo in Italia – è chiaro che gli strumenti e le armi convenzionali di difesa dello Stato democratico fino ad oggi non hanno assolutamente funzionato. Né ci sono servite – guardacaso – le armi atomiche e le basi militari che gli Stati Uniti ci hanno imposto dalla fine della seconda guerra bancaria mondiale.

Un detto dice: chi ha i soldi in mano, ha vinto! E chi ha per primo i soldi in mano se non chi li crea e può spenderli senza controllo? Senza alcuna contropartita, ma anzi, nel caso delle banche, sottraendone l’importo dagli utili di esercizio? Nel caso dell’Italia, ormai abbiamo visto che l’ordinamento statuale è completamente subornato fino al livello della presidenza della Repubblica, che niente ha fatto e fa per resistere agli oligarchi del credito. Questo nuovo strumento d’indagine, ovvero il rapporto Stato-banche visto secondo i poteri d’emissione monetaria e ritenzione della relativa rendita, ci da anche la possibilità di effettuare una indagine retrogada sugli accadimenti geopolitici internazionali degli ultimi decenni. La chiave d’indagine è calcolare il rapporto Stato-banche sulla moneta prima del conflitto e dopo il conflitto.

Si noterà facilmente che, nei casi in cui tale rapporto è peggiorato o peggiora costantemente in favore dei banchieri, le rivoluzioni o guerre umanitarie avevano ben altri scopi da quelli esaltati dal circo mediatico. Infine, questa variabile può essere certamente utile per raggiungere quell’accordo unanime sul significato univoco di termini quali: terrorismo, criminalità finanziaria e riciclaggio di denaro, che ancora oggi manca nelle Nazioni Unite. Il rischio sarebbe infatti quello di combattere i nemici sbagliati, come affermò nel secolo scorso il generale Patton poco prima di morire. Ne discende inoltre che, se le guerre e le sovversioni occidentali oggi sono indirizzate contro Stati orientati verso la sovranità creditizio-monetaria, dovremo prima o poi confrontarsi con la Cina: o per combatterla, autolesionisticamente, o meglio per omologarci quanto prima.

Fonte: libreidee.org

Il redditometro è illegale. I giudici stoppano la genialata di Monti!

Il giudice Valentina Valletta:”Viola il diritto alla riservatezze del cittadino”. Altra figuraccia per Monti.
Dopo la brutta figura sull’anticostituzionalità del decreto che aboliva le Province il super-prof. Mario Monti viene nuovamente bocciato. Questa volta è il turno del Tribunale di Napoli che annulla la sua creatura.
L’Agenzia delle Entrate non ha “il potere di conoscere tutti i dati personali del contribuente e della sua famiglia”. Inoltre il redditometro risulta essere in contrasto con gli articoli 2 e 13 della Costituzione e contro addirittura la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Non può mettere sotto controllo tutte le abituali spese dei cittadini. Non può indagare su come un essere umano spende il proprio denaro, né in farmacia né in altre sfere provatissime della vita di ognuno di noi. In sostanza il redditometro “viola i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità”. Pertanto risulta essere “non solo illegittimo, ma radicalmente nullo”. Una vittoria per i contribuenti ed un fallimento su tutta la linea per Monti.
Redditometro per sapere come spendiamo i nostri soldi? Servirebbe lo spesometro per sapere come lo Stato spende i nostri!

Fonte: ilradar.com

sabato 28 settembre 2013

L'azione "esperta" degli ultimi due governi si vede, eccola la ripresa che ci avevano promesso i nostri "carissimi" politici: Bar, ristoranti, hotel: il 2013 è l'anno nero In otto mesi chiuse 50mila imprese

http://blog.rassegna.it/blogs/rassegnados/image/vignette%20Lorenzo%20Pierfelice/Ripresa.jpg
 Roma, 28 set. (Adnkronos) - Il 2013 è ancora un anno nero per il settore del commercio e turismo. Nei primi 8 mesi hanno chiuso i battenti 50mila imprese, con 32mila cessazioni nel commercio e 18mila nel turismo. Considerando l'avvio di nuove attività, il saldo è negativo di quasi 20mila unità. Se continua così, a fine 2013 si saranno perse per sempre 30mila imprese e almeno 90mila posti di lavoro. E' il quadro che emerge dai dati diffusi dall'osservatorio di Confesercenti sul commercio e turismo. Complessivamente, nei primi otto mesi dell'anno si registra nel commercio al dettaglio in sede fissa un saldo negativo di 14.246 imprese, a fronte di 18.208 nuove aperture e 32.454 chiusure. Soffrono anche le attività di alloggio e ristorazione, che perdono per sempre 5.111 attività, con 12.623 nuove imprese e 17.734 cessazioni. Insomma, la crisi 'svuota' le citta di bar, ristoranti e hotel. Ma, soprattutto, è drammatico il tracollo della moda: nei primi 8 mesi dell'anno, una cessazione su 4 nel commercio è un negozio di abbigliamento. Ma i negozi del web continuano a crescere. Secondo le rilevazioni dell'Osservatorio Confesercenti, infatti, le imprese di commercio al dettaglio che vendono attraverso internet sono aumentate, negli ultimi 20 mesi, del 24,5%. In particolare, da gennaio 2012 ad agosto 2013, le attività di commercio web sono passate da 9.180 a 11.430: un saldo positivo di 2.250 unità, pari a quattro imprese in più ogni giorno. ''Turismo e Commercio, pur subendo la crisi più dura dal dopoguerra, si confermano tra i settori più vitali dell'imprenditoria italiana''. E' il commento del segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni. ''L'accorciamento della vita delle imprese, però, è un dato estremamente allarmante, soprattutto se si considera che, fino a pochi anni fa, la vita media delle attività nei due settori era di 14 anni. Si offrono dunque molte opportunità, ma anche molte delusioni: è teoricamente molto facile avviare un'impresa in questi settori, ma è praticamente difficilissimo mantenerla in vita''. ''Occorre cambiare mentalità - avverte Bussoni - senza internet, senza Pos, senza eCommerce non si può più pensare di sopravvivere a lungo sul mercato. Le nuove imprese devono essere accompagnate nel loro percorso, dobbiamo sostenere le start-up".

giovedì 26 settembre 2013

PIANGE IL TELEFONO

http://www.repubblica.it/images/2013/09/24/124843104-5a4f8d49-2951-4ad0-9bd1-2bd7be725be7.jpg 
La notizia che si legge sui giornali italiani è che Telecom, tra non molto, parlerà spagnolo. Ma la notizia che non leggerete mai sulla stampa italiana è che l'acquirente, ossia Telefonica, verosimilmente, per portare a compimento l'operazione, verrà finanziata da qualche banca spagnola -già fallita- e salvata con i soldi dei contribuenti Italiani attraverso il fondo salva stati e banche ESM, al quale  l'Italia partecipa con 125 miliardi di euro, presi a debito sui mercati. Di come l'Italia abbia contribuito al salvataggio delle banche spagnole, lo abbiamo spiegato QUI.
Ricapitolando, per rendervela ancora più semplice, possiamo dire che TELEFONICA (società spagnola), attraverso la controlla TELCO, acquista TELECOM (Società Italiana). La quale Telefonica, avendo necessità di capitali  per compiere l'operazione, verosimilmente, si farà finanziare da qualche banca spagnola. La quale banca spagnola, a sua volta, è stata salvata con i soldi dei contribuenti italiani attraverso il fondo ESM. I quali contribuenti, per poter conferire  i soldi nel fondo ESM  (e da questo alle banche spagnole che finanziano l'acquisto di Telecom da parte di Telefonica), essendo straccioni,  sono stati spremuti di tasse per rendersi presentabili sul mercato e per ottenere la fiducia degli investitori che hanno prestato i soldi all'Italia, a fronte del pagamento di lauti interessi.
Chiaro, no? 

Potete anche evitare di leggere i dettagli riportati nel pezzo che segue, tratto da Il Sole 24 Ore. Le cose importanti le avete già lette sopra.
  
Telefonica sale dal 46 al 66% di Telco dopo l'aumento di capitale da 323 milioni e realizzerà un secondo aumento di capitale da 117 milioni, dopo l'ok dell'Antitrust in Brasile e Argentina, per arrivare al 70% della holding. Lo si legge nella nota della compagnia spagnola. Ieri il titolo Telecom ha chiuso in rialzo del 3,4% a 0,59 euro. Telefonica manterrà i diritti di voto in Telco spa all'attuale 46,1% anche dopo i due aumenti di capitale (che porteranno la sua quota al 70% della holding). Lo si legge nella nota della compagnia spagnola secondo cui dal 1 gennaio 2014, dopo l'ok dell'Antitrust di Brasile a Argentina, i diritti di voto potrebbero salire al 64,9%.
"Siamo soddisfatti di aver concluso questo accordo che è in linea con i nostri obiettivi di rafforzamento patrimoniale e che ci permette di guardare con ottimismo alla distribuzione di un dividendo soddisfacente a fine anno". Questo il commento del ceo di Generali, Mario Greco, all'accordo con Telefonica per il riassetto di Telco che controlla Telecom. Generali rende inoltre noto che la svalutazione netta della quota Telco sarà di circa 65 milioni e sarà registrata nel terzo trimestre del 2013. L'accordo definisce infine in modo chiaro i possibili periodi di uscita da Telco - il primo a giugno 2014; il secondo a febbraio 2015 - e riduce i rischi patrimoniali derivanti dallôeventuale futura cessione a Telefonica.
Opzione per Telefonica di salire al 100% di Telco, la holding che controlla Telecom con il 22,4% del capitale, dal primo gennaio 2014. In base all'accordo sottoscritto questa notte tra gli spagnoli di Telefonica e i soci itliani presenti in Telco, Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca, "a decorrere dal primo gennaio 2014, Telefonica avrà la facoltà (opzione call) di acquistare per cassa tutte le azioni dei soci italiani in Telco, ad un prezzo determinato valorizzando la partecipazione di Telco in Telecom Italia al maggiore tra 1,1 euro e il prezzo di mercato delle azioni al momento dellôesercizio della opzione call". Lôesercizio dellôopzione sarà soggetto allôottenimento da parte di Telefonica di tutte le autorizzazioni regolamentari e antitrust. "In caso di esercizio della opzione call, Telefonica sarà obbligata ad acquistare, a valore nominale, anche tutte le quote residue del prestito obbligazionario emesso da Telco detenute dai soci italiani a fronte del pagamento di un corrispettivo composto per il 50% in contanti, e per il restante 50%, a scelta di Telefonica, in contanti e/o in azioni di Telefonica".
Con la cessione di Telecom a Telefonica, ormai apparentemente dietro l'angolo, termina definitivamente l'era della telefonia tricolore, visto che più nessun operatore presente in Italia sarebbe a controllo nazionale. Ecco i momenti salienti della storia delle principali compagnie di telefonia mobile, nate in Italia e poi cedute ad azionisti stranieri 

- VODAFONE: ha origine con Omnitel, fondata il 19 giugno 1990 da Olivetti, Lehman Brothers, Bell Atlantic e Telia. Nel 1999, Olivetti, a seguito dell'acquisizione di Telecom Italia, provvede alla cessione, richiesta dalle norme sulla concorrenza, delle sue partecipazioni in Omnitel e Infostrada a Mannesmann. La partecipazione di Mannesmann in Omnitel sale dunque al 53,7%. Mannesmann, poi, vende nel 2001 il settore delle tlc, così Omnitel passa sotto il controllo di Vodafone Group; assume la denominazione di Omnitel-Vodafone nel 2001, di Vodafone-Omnitel nel 2002 e, infine, nel 2003, l'attuale denominazione di Vodafone Italia. Tuttavia, il 2 settembre 2013, Verizon Communications ha annunciato di aver raggiunto un accordo per acquistare la partecipazione di Vodafone, il 45%, per 130 miliardi di dollari in un accordo atteso entro il primo trimestre del 2014. Tale accordo prevede che Gruppo Vodafone acquisti l'altro 23% in possesso di Verizon in Vodafone Italia. In questo modo, entro il 2014, Vodafone Italia sarà interamente di Vodafone. 
- WIND: Wind Telecomunicazioni nasce alla fine del 1997 grazie all'investimento di Enel, France Télécom e Deutsche Telekom. Nel 2001 c'è poi l'acquisizione di Infostrada da parte di Enel, azionista di maggioranza, e nel 2002 diviene operativa la fusione per incorporazione di Infostrada in Wind. Nel luglio del 2003 Wind Telecomunicazioni è tutta italiana: Enel ne diventa l'unico azionista acquistando il restante 26,6% da France Télécom. Nel 2005 il gruppo Enel cede la quota di maggioranza di Wind Telecomunicazioni al magnate egiziano Naguib Sawiris, già proprietario della Orascom. Il 4 ottobre 2010 Weather Investments (ora Wind Telecom S.p.A., controllata da Naguib Sawiris) e il gruppo russo VimpelCom annunciano con un comunicato la loro fusione, a seguito della quale, VimpelCom assumerebbe il controllo del 51,7% di Orascom Telecom Holding e del 100% di Wind Telecomunicazioni. 

- TRE: 3 Italia appartiene alla multinazionale cinese Hutchison Whampoa. Il gruppo 3 è il più grande gruppo di telefonia mobile al mondo per numero di clienti in tecnologia Umts e, soprattutto, è stato il primo a lanciare tale tecnologia in Europa. Nata il 18 novembre 1999 con il nome Andala Umts, grazie a Franco Bernabè (10%) e Renato Soru (con Tiscali al 90%), ha ottenuto nel 2000 la licenza Umts vincendo la relativa gara. A seguito di tale ottenimento, sempre nel 2000, entrano nuovi soci nella compagine azionaria, ma il 12 agosto il 51% viene acquisito da Hutchison Whampoa Limited: Hwl salirà poi all'88,2% nel giro di due anni. Ha lanciato i servizi Umts il 3 marzo 2003 con il marchio 3.


Da Dagospia

TELECOM: ALTRO CHE CONCORDIA, LA STORIA DELLA COMPAGNIA TELEFONICA È EMBLEMATICA DEL DECLINO DEL BELPAESE

Oggi si guarda alla prossima scadenza del patto tra gli azionisti di Telco, la holding che controlla Telecom, e al consiglio di amministrazione del 3 ottobre, come all'inizio di una nuova era. Eppure, quindici anni di lenta agonia suggeriscono scetticismo e, forse, rassegnazione.
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LA MADRE DI TUTTE LE PRIVATIZZAZIONI
Telecom Italia nasce con la privatizzazione del 1997 voluta dal governo Prodi. E parte con un difetto d'origine: uno Stato dirigista o, ancor peggio, che vorrebbe esserlo, ma non ne è capace. A prescindere dal colore dei governi. Così le privatizzazioni si fanno solo per far cassa e perché lo impone l'ingresso nell'euro. Pertanto Telecom viene collocata come un monopolio integrato, perdendo l'occasione per creare concorrenza in un settore agli albori della liberalizzazione e nella sua fase di massima crescita.
guido rossiGUIDO ROSSI
Ma il Tesoro riesce ad incassare 12 miliardi di euro per il 42%, più di quanto oggi valga l'intera società. E si perde l'occasione per promuovere il mercato dei capitali, perché lo Stato vuole pilotare il controllo in mani amiche. Si sceglie l'approccio del nocciolo duro, con Agnelli primo azionista (e un investimento risibile, come d'abitudine) e Guido Rossi presidente.
Per facilitargli il controllo, non si convertono le azioni di risparmio (senza diritto di voto), sopravvissute fino a oggi. Cambiano i vertici: Rossignolo e poi Bernabè (l'attuale presidente, non suo figlio). Ma l'interesse dei nuovi azionisti privati è solo di incassare il dividendo della rendita monopolistica. E l'azienda rimane un pachiderma sonnacchioso e pieno di soldi.
berlusconi dalema colaninnoBERLUSCONI DALEMA COLANINNO
I CAPITANI CORAGGIOSI
L'avvento dell'Euro, nel 1999, elimina la barriera del rischio di cambio, spalancando all'Italia le porte del mercato internazionale dei capitali. Cade così uno dei principali vincoli strutturali alla crescita nel nostro Paese: fino ad allora, il risparmio nazionale era obbligatoriamente incanalato verso il finanziamento del debito pubblico; e poiché il rischio lira scoraggiava l'ingresso degli stranieri, i gruppi italiani dovevano operare in uno stato di razionamento dei capitali, dal quale Mediobanca, che agiva da surrogato al mercato finanziario, traeva la propria forza. Con l'Euro tutto questo finisce.
Colaninno & Co. sono rapidi a sfruttare questa opportunità, e raccogliere all'estero gli ingenti prestiti necessari a lanciare un'Opa su Telecom. Quello che poteva essere l'inizio di un mercato dei capitali efficiente, dove il controllo delle aziende va a chi è più bravo a gestirle, scardinando dirigismo e capitale di relazioni, e permettendo ai gruppi italiani di crescere in competizione con quelli stranieri, si trasforma presto in una cocente delusione: invece di fondere holding e società operative create per scalare Telecom, concentrarsi sulla gestione industriale e ripagare l'enorme debito contratto, i capitani coraggiosi si comportano da vecchi capitalisti nostrani, perpetuando la lunga catena societaria creata con l'Opa per valorizzare il premio di controllo nella holding Bell (lussemburghese, naturalmente).
GIANNI LETTA PAOLO CUCCIA E MARCO TRONCHETTI PROVERAGIANNI LETTA PAOLO CUCCIA E MARCO TRONCHETTI PROVERAFRANCO BERNABE AD TELECOMFRANCO BERNABE AD TELECOM
La preoccupazione resta il controllo, con il minimo dei capitali e il massimo del debito. Ma la bolla della dot.com scoppia, e con essa le valutazioni insensate che il mercato attribuiva alle telecomunicazioni. Per Colaninno & Co. è un brusco risveglio: il valore di Telecom crolla, ma i debiti rimangono; e i creditori bussano alla porta. In Italia, però, c'è sempre qualcuno pronto a strapagare il controllo (coi soldi di banche amiche) pur di soddisfare voglie di impero.
LA VOGLIA DI IMPERO DI TRONCHETTI
Liquido perché baciato dalla fortuna durante la bolla Internet, Tronchetti Provera vede nelle difficoltà dei capitani coraggiosi l'occasione per costruire il proprio impero. Ma l'ambizione acceca. Nel 2001 strapaga il controllo di Telecom; naturalmente il premio va alla Bell (quasi tax free), non al mercato come da italica abitudine. E perpetua gli errori di Colaninno & Co., esercitando il controllo con una catena societaria ancora più lunga (Olimpia al posto di Bell, più Pirelli, Camfin eccetera), e ancora più debito, ovviamente con il sostegno di Intesa e Unicredit, socie in Olimpia.
ANDREA RAGNETTI E ROBERTO COLANINNOANDREA RAGNETTI E ROBERTO COLANINNO
Poi infila una serie incredibile di errori. Per far fronte ai debiti vende tutte le attività che la Telecom dei capitani coraggiosi aveva acquistato all'estero, in mercati a forte crescita (unica decisione giusta); salvo poi accumularne di più per fondere Tim con Telecom, puntando prevalentemente sulla telefonia mobile in Italia: un mercato in via di saturazione, a bassa crescita e sempre più concorrenziale. E non investe nella banda larga, perdendo il treno di Internet. Così, nel 2006, Tronchetti si trova nella stessa situazione di Colaninno & Co. nel 2001: il valore di Telecom in calo irreversibile; troppo debito; e i creditori alla porta. Ma questa volta non c'è un altro aspirante imperatore in Italia, così Tronchetti cerca di vendere agli americani di AT&T o al messicano Slim. Orrore!
LUCIANO LAMA E GIANNI AGNELLILUCIANO LAMA E GIANNI AGNELLI
L'OPERAZIONE DI SISTEMA
In Italia, come nel gioco dell'oca, ogni tanto si torna al via. Nel 2006, Prodi è nuovamente al Governo e il sempreverde animo dirigista impone la salvaguardia di una azienda "strategica per il paese". Se però il mercato dei capitali non funziona (meglio, non lo si crea) e l'Europa impedisce allo Stato di intervenire, ci si inventa "l'operazione di sistema". Al comando torna Guido Rossi (quello del 1997), con il compito far uscire indenne Tronchetti e creare un patto per mantenere il controllo in mani italiane.
Ancora una volta, prioritari sono debito, controllo e relazioni con il Governo: le prospettive del settore, e quale sia il modo migliore per valorizzare l'azienda, sono aspetti marginali. Chi allora meglio di Banca Intesa, autoproclamatasi banca di sistema, insieme al salotto buono di Mediobanca e Generali, per un'operazione di sistema gradita al Governo? Con la spagnola Telefonica, comprano il controllo da Olimpia, rinominata Telco (senza che il mercato veda un euro), facendo uscire Tronchetti prima che l'avventura Telecom lo porti al dissesto. E finanziano l'operazione a debito. Nulla cambia nella struttura finanziaria (troppo debito) e proprietaria (controllo in una holding fuori mercato).
GIANNI LETTA TRONCHETTI PROVERAGIANNI LETTA TRONCHETTI PROVERAenrico cuccia xENRICO CUCCIA X
Telefonica è straniera, ma non conta: la Spagna ha un capitalismo come il nostro e ci si intende. E poi ha una quota di minoranza. Ma in questo modo le si concede di fatto un diritto di prelazione sul controllo futuro, magari a prezzo di saldo. Infatti sembra che oggi Intesa, Mediobanca e Generali, non potendo più permettersi le perdite che le operazioni di sistema inevitabilmente generano, stiano cercando di vendere a Telefonica la loro quota in Telco (naturalmente fuori mercato); a una frazione di quanto avrebbero incassato cinque anni fa. Come con Air France in Alitalia, o Edf in Edison: le operazioni di sistema non mi sembrano capolavori di astuzia.
LA LENTA AGONIA
Nel 2007, il comando torna a Bernabè (quello del 1998). Da allora sfoglia la margherita. Il debito è rimasto quello di 13 anni prima, ma i ricavi dalla telefonia in Italia, dove l'azienda è concentrata, sono in declino irreversibile e non generano cassa bastante a rimborsarlo. Ci vorrebbe un forte aumento di capitale, ma i soci non hanno soldi. Anzi, vogliono uscire. E, in ogni caso, non si saprebbe come remunerarlo adeguatamente. Non si può vendere Tim per consolidare un mercato nazionale troppo frazionato perché evidenzierebbe una perdita colossale derivante dall'abbattimento del valore dell'avviamento a bilancio.
agnelli enrico cucciaAGNELLI ENRICO CUCCIA
Vendere il Brasile, che pure è ai massimi, significherebbe fossilizzarsi in un mercato in declino. Non ci sono i soldi per investire nella rete e ci sarebbero problemi a remunerare gli investimenti anche perché la regolamentazione impone di spartirne la redditività con i concorrenti. Né si può venderla, perché la Cassa depositi sarebbe il solo compratore accettabile per il governo: una sorta di nazionalizzazione antistorica e impraticabile; e Telecom perderebbe l'asset con le migliori prospettive. Fare l'azienda a pezzi e offrirli sul mercato globale al migliore offerente, approfittando dell'attuale ondata di fusioni e acquisizioni nel mondo equivarrebbe, nella lingua italiana, a una bestemmia.
ENRICO CUCCHIANI GIOVANNI BAZOLIENRICO CUCCHIANI GIOVANNI BAZOLI
IL MORTO CHE CAMMINA
Non capisco la frenetica attesa con cui si attende la fine del patto in Telco a fine settembre e l'ennesimo "nuovo piano industriale" (quanti ne sono stati presentati?) nel consiglio del 3 ottobre. Non può essere risolutivo perché il problema, ancora una volta, non è una questione prettamente finanziaria, di controllo, o di chi sia al vertice; ma di un'azienda priva di prospettive, ancorata a un paese senza crescita, incapace di stare al passo con i rapidi e repentini cambiamenti del settore. Definire Telecom un morto che cammina, ridotto in questo stato da una vicenda che è lo specchio delle storture del Paese, sembra quasi un eufemismo.

Da Lettera43

Nella notte la fumata bianca. Telecom è diventata spagnola, passando in mano a Telefonica. Colpa (o merito) dell'accordo che la compagnia spagnola ha raggiunto con Mediobanca, Generali e Intesa per salire dal 46,2 al 66% delle azioni della Telco, la società controllante della compagnia italiana dei telefoni con il 22,4%. Telefonica ha anche un'opzione per crescere ancora con un secondo aumento di capitale da 117 milioni, dopo l'ok dell'Antitrust in Brasile e Argentina, per arrivare al 70% della holding. Poi potrà anche arrivare al 100% entro il 2014.
Per il momento si tratta di un affare da 324 milioni (tanto incasseranno i grandi azionisti) che non solo priva l'Italia del suo ultimo asset nelle telecomunicazioni, ma di fatto crea una serie di criticità.

1. Per comandare basta il 22,4%

Per governare la Telecom, una public company con l'azionariato molto diffuso, basta il 22,4% delle azioni, che è la quota posseduta da Telco.
Telefonica, salendo al 66% della controllante, si è di fatto imposta come maggiore azionista, e nel 2014 potrà addirittura rilevare tutta Telco. Quest'ultima è una società finanziaria (una scatola cinese, come si dice in gergo) finora governata da Generali (30,6%), Mediobanca (11,6%) e Intesa Sanpaolo (11,6%), impegnate nelle ultime settimane in una lunga trattativa con gli spagnoli - che ne detenevano già il 46,2% - e conclusa solo nella notte tra lunedì 23 e martedì 24 settembre.

2. In sei anni svalutazione da 2,82 a 1,09 euro

Da quando nel 2007 fu costituita Telco, il valore delle azioni di Telecom Italia è precipitato. La holding composta da Telefonica, Generali, Mediobanca e Intesa, ha acquistato in parte le quote della vecchia Olimpia pagando un prezzo di 2,82 euro per azione a Marco Tronchetti Provera, mentre alcuni soci, come Generali e Mediobanca, hanno conferito in Telco titoli Telecom che avevano in carico a un prezzo superiore a 2,7 euro per azione.
A causa degli aumenti di capitale e di alcune svalutazioni dei titoli in portafoglio, le perdite accumulate dagli azionisti di Telco in sei anni superano la cifra di 1,3 miliardi.
I buchi nel bilancio Telecom hanno influito sul valore delle azioni possedute dalla controllante: nel 2008 il prezzo di carico dei titoli era già sceso a 2,18 euro. Poi, nel 2011, un altro calo a 1,5 euro. Infine, nel febbraio 2012, l'ultima svalutazione a 1,2 euro.
Alla vigilia del passaggio di mano, in Borsa il titolo Telecom valeva 0,59 euro, ma Telefonica ha ora valutato ogni azione 1,09 euro, destinati alle tasche dei tre grandi gruppi finanziari italiani.

3. Nessun premio per i piccoli azionisti

A perderci, ancora una volta, sono soprattutto i piccoli investitori, che dall'operazione non traggono alcun vantaggio economico, se non parzialmente dalla crescita in Piazza Affari. Il titolo è infatti volato in Borsa nella chiusura del 23 settembre, guadagnando il 3,4% sulla scia delle voci che davano ormai vicina la conlusione della trattativa. E anche in apertura del 24 si sono registrati forti rialzi, ma è ancora da valutare il comportamento nei giorni successivi a  quello della grande euforia.
Da quando è stata fondata, Telco non ha mai remunerato i suoi azionisti, e ha richiesto due ricapitalizzazioni da parte dei soci che dovevano sostenere gli aumenti di capitale di Telecom.
Telefonica, tra l'altro, non sembra una compagnia così solida, oberata di debiti, alle prese con la crisi spagnola. D'altra parte si sa, se Roma piange, certamente Madrid non ride.

4. Telefonica ha più debiti di Telecom

I conti di Telecom sono in sofferenza, ma quelli di Telefonica lo sono ancora di più. Ai circa 40 miliardi di debito della società italiana se ne aggiungono quindi un'altra cinquantina. Nonostante un secondo trimestre 2013 con ricavi superiori alle attese, gli spagnoli sono in calo rispetto all'anno precedente, con una riduzione del 6,8% del fatturato a 14,4 miliardi di euro, contro stime ancor più negative che prevedevano un arrivo a 14,1 miliardi.
C'è poco da stare tranquilli, comunque, perché il trend rimane non buono, sebbene secondo alcune fonti il debito del gruppo iberico sia sceso di poco sotto la soglia critica dei 50 miliardi, a quota 49,8, e Telefonica annunci di puntare ai 47 miliardi di debito entro la fine dell'anno.
D'altra parte la stessa Telco, che in Borsa ha una valutazione di 1,56 miliardi, ha sul groppone pesanti debiti: 1,05 miliardi dei quali solo con il sistema bacario.

5. Gli investimenti in banda larga sono una chimera

Per questi motivi è difficile ipotizzare che arrivino i tanto attesi e necessari investimenti sulla banda larga e sullo sviluppo della rete italiana (peraltro non previsti dall'accordo di cessione). I margini di profitto nel settore per gli operatori europei sono in calo da tempo, e il livello degli investimenti pro-capite in ricerca e sviluppo nelle telcomunicazioni, in Europa, è inferiore di oltre il 30% rispetto a quelli americani.
Eppure, in particolar modo in Italia, sarebbe essenziale puntare sulla banda larga. Ma né Telecom né tantomeno Telefonica ne hanno la forza. Per questo, forse, lo scorporo della rete auspicato (o anche imposto) dall'Agcom potrebbe essere indispensabile.
Nel frattempo gli analisti prevedono che Telefonica, per finanziare l'acquisto, provvederà a vendere Tim Brasile, l'asset estero più importante e di maggior valore della società italiana.
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LETTURE SUGGERITE 

IL MES COME STRUMENTO DI INGANNO DEI POPOLI
IL MES STA FINANZIANDO LA GERMANIA

lunedì 23 settembre 2013

Raddoppiano i poveri in Italia, sono 4,8 milioni !

(AGI) - Roma, 22 set. - Dall'inizio della crisi sono praticamente raddoppiati (+99%) gli italiani che si trovano in una condizione di poverta' assoluta ed oggi sono 4,81 milioni quelli che non hanno una disponibilita' economica sufficiente neanche ad acquistare beni e servizi essenziali per vivere. E' quanto emerge da una analisi della Coldiretti che fotografa la realta' del Paese, in base dei dati Istat relativi agli ultimi 5 anni segnati dalla crisi.

La situazione si e' aggravata di piu' nel nord Italia dove l'aumento dal 2007 - sottolinea la Coldiretti - e' stato addirittura del 105% rispetto al mezzogiorno (+90%) anche se il peggioramento piu' marcato e' stato registrato nel centro Italia (+112%). In valori assoluti tuttavia - precisa la Coldiretti - si contano 2,35 milioni di cittadini in grave difficolta' nel mezzogiorno, 1,78 milioni nel nord. e 684mila ne centro Italia. Ad essere entrati in una condizione di poverta' assoluta negli ultimi cinque anni di crisi sono stati ulteriori 3,4 milioni di persone ed oggi sul territorio nazionale piu' di un italiano su dieci (11.3%) si trova in questa situazione.

L'effetto principale e' stato un crollo storico dei consumi di beni essenziali come il cibo poiche' ben il 16,6 per cento degli italiani non puo' neanche permettersi una pasto con un contenuto proteico adeguato almeno una volta ogni due giorni. La spesa alimentare delle famiglie e' tornata indietro di venti anni. Nel 2012 i consumi delle famiglie italiane per alimentari e bevande a valori concatenati sono stati pari - sottolinea Coldiretti - a 117 miliardi, di mezzo miliardo inferiori a quelli del 1992. La crisi - precisa la Coldiretti - ha fatto retrocedere il valore della spesa alimentare, che era sempre stato tendenzialmente in crescita dal dopoguerra, fino a raggiungere l'importo massimo di 129,5 miliardi nel 2007, per poi crollare oggi al minimo di ben quattro lustri fa.

La situazione - conclude la Coldiretti - si e' aggravata nel 2013 con le famiglie italiane che hanno tagliato gli acquisti per l'alimentazione, dall'olio di oliva extravergine (-10 per cento) al pesce (-13 per cento), dalla pasta (-10 per cento) al latte (-7 per cento), dall'ortofrutta (-3 per cento) alla carne (-2 per cento), sulla base delle elaborazioni su dati Ismea-Gfk Eurisko relativi al primo semestre dell'anno che fanno registrare complessivamente un taglio del 4 per cento nella spesa alimentare delle famiglie italiane. Stefano ( AGI )

venerdì 20 settembre 2013

Fa fuori lo Stato dal suo negozio, basta a politica di ladri e criminali

Un negoziante di Cosenza ha tolto il registratore di cassa, protesta contro la classe politica che non fa niente per agevolare i cittadini in un periodo di crisi nerissima

Fa fuori lo Stato dal suo negozio, basta a politica di ladri e criminali

 Roberto Corsi ha tolto il registratore di cassa dal suo negozio in provincia di Cosenza, precisamente a Montalgo Uffugo, per protesta contro lo Stato. Ha dichiarato che non batterà più nessuno scontrino fiscale e che i soldi delle ricevute trattenuti dallo Stato verranno ridati ai clienti sotto forma di sconti, lanciando la sua protesta sul popolare social network di Facebook con tanto di appello e foto. L'uomo ha deciso di denunciare una situazione ormai insostenibile per tantissimi italiani, le difficoltà economiche, la pressione fiscale, l’impossibilità di arrivare a fine mese, di pagare le bollette e di vivere dignitosamente nonostante i tanti sacrifici. Da qui il gesto eclatante di "allontanare" lo Stato dal suo negozio, con questa singolare ma sicuramente fortissima protesta, con la quale sta sensibilizzando tutto il popolo di Facebook che lo incoraggia e gli fa i complimenti per il coraggio, tanti gli attestati di stima.

Questo il suo chiaro messaggio alle autorità, contro un sistema opprimente che non aiuta i cittadini:

“Non ho più nessuna intenzione di pagare le tasse a questo Stato in mano a politici ladri e criminali. Da oggi chi entrerà nel mio negozio avrà lo sconto del 21%. Quel 21% che lo Stato abusivamente mi chiede. Sono stanco di essere vessato e ricattato da persone che dovrebbero tutelarci e che non lo fanno. Sono stanco di non sapere per che cosa e per chi ho pagato le mie tasse in tutti gli anni della mia attività. Voglio che lo Stato mi dica come ha speso finora i miei soldi. Sono stanco di Equitalia e di tutte le vergognose leggi fiscali, che sono dei veri crimini verso il popolo sovrano. Sono stanco di questo Stato che elargisce stipendi e pensioni d’oro a gente che non ha mai lavorato, e che sono il frutto di leggi scritte e approvate da politici sicari al servizio dei poteri forti e criminali. Io devo, in primo luogo, proteggere, e dar da mangiare, ai miei figli e alla mia famiglia. Non posso difendere il mio popolo, ma ho il dovere di difendere la mia famiglia, ho messo fuori il registratore di cassa, così facendo ho tolto i delinquenti dalla mia attività. Non mi fermerò: mentre la nave Italia viene messa con la barra dritta dalla ciurma dei governanti, io ho i figli in acqua, e nessuno mi butta un salvagente, nessuno mi butta una scaletta di salvataggio, difenderò fino alla morte i miei figli. Non pago piu nessuna tassa. Ripeto, non posso salvare un popolo, ma ho il dovere di salvare e difendere i miei figli”.

Fonte

Commento di Oliviero Mannucci: Sacrosante parole!

Studio choc. La politica rovina il cervello

La politica sabota il funzionamento del nostro cervello: questo la conclusione di un ingegnoso esperimento della Yale University. Se il risultato di una semplice operazione matematica va contro le nostre convinzioni politiche, la nostre mente dimentica come si calcola e sbaglia
Studio choc. La politica rovina il cervello

-Giulia Ricci- 20 Settembre 2013- Con il lungo titolo “Motivated Numeracy and Enlightened Self-Governement” – la politica sabota anche le nostre abilità basilari con i numeri, la Yale University rende noto uno studio per quanto riguarda l’impatto che la passione politica ha sulle nostre capacità cognitive e razionali. Secondo quanto risulta da ingegnosi esperimenti del professore Dan Kahan, le convinzioni politiche impediscono alla gente di pensare in maniera chiara, così tanto da renderle incapaci di fare semplici operazioni aritmetiche, se il loro risultato ne contraddice queste convinzioni. In altre parole, dobbiamo dire buonanotte al sogno che l’educazione, il giornalismo, la prova scientifica, mediatica o la ragione siano in grado di fornire gli strumenti e le informazioni di cui le persone hanno bisogno per prendere le decisioni giuste. ;Si scopre che anche nella sfera pubblica, la mancanza di informazioni non è l’unico problema: l’ostacolo è come funziona la nostra mente, non importa quanto intelligenti pensiamo di essere. ;
Tra gli esperimenti condotti dal professore, uno è particolarmente rivelatore. Ad alcuni soggetti dello studio è stato ordinato di interpretare una semplicissima tavola numerica, che diceva se le creme per la pelle provocano prurito o no. L’argomento non era denso di implicazioni e significati di alcun genere: tutti sono riusciti a fare i calcoli giusti. Altri soggetti sono stati messi di fronte ad un’altra tavola, con gli stessi identici numeri, ma l’interpretazione avrebbe portato a stabilire se vietare il porto di armi nascoste diminuirebbe il tasso di criminalità. Sul piano aritmetico, il risultato era banale, ma questa volta aveva un denso valore politico: significava prendere una posizione scientifica definitiva sul dibattito riguardo la detenzione di armi in Usa, un dibattito che lacera il Paese da moltissimo tempo. Cos’è successo alle menti di questi soggetti? Moltissimi non sono stati in grado di risolvere calcoli elementari: non appena si rendevano conto ch il risultato stava andando contro le loro convinzioni…sbagliavano! Ebbene sì, il loro inconscio iniziava a sbagliare semplicissime operazioni aritmetiche per non arrivare allo scomodo risultato. E più erano bravi in matematica, più baravano.
Il risultato raggiunto da Kahan è lo stesso raggiunto da molti altri studiosi, come Brendan Nyhan di Dartmouth: la passione politica è un fattore insito nelle parti più consce e inconsce della nostra mente, tale che porta addirittura ad offuscare le nostre capacità e a sabotare il funzionamento del nostro cervello. Una volta scelta la nostra verità, le restiamo attaccati come ad un dogma e neanche le prove più schiaccianti e oggettive ci scalfiscono.

Fonte

Commento di Oliviero Mannucci:  La politica rovina il cervello...ma non solo. Spesso rovina anche la vita delle persone, se chi la fa non è retto dal punto di vista etico e morale, l'Italia sta andando a scatafascio per questo.  Faccio bene io a non votare per nessuno dei ladroni da quasi 30 anni! Il voto è una cosa seria, chi vuole il mio deve guadagnarselo facendo i fatti non parole.

giovedì 19 settembre 2013

Storie di italica corruzione: Perquisizioni nelle sedi di Equitalia. Vantaggi ad imprenditori e professionisti in cambio di mazzette

In cambio del denaro, infatti, sarebbero state accolte istanze di rateizzazione di cartelle esattoriali, anche in assenza dei requisiti.

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Sono cinque gli indagati nell'inchiesta della procura di Roma su Equitalia che ha portato gli uomini della Guardia di Finanza ad effettuare 29 perquisizioni, a Roma, Latina, Genova, Napoli e Venezia, a fare tre acquisizioni di documenti negli uffici di Equitalia, dell'Inps e presso i domicili degli indagati. Tra i destinatari del provvedimento di perquisizione anche l'ex Direttore Regionale di Equitalia del Lazio e attuale Direttore Regionale Liguria, Francesco Pasquini. I pm di Roma ipotizzano diversi episodi di corruzione: i cinque indagati avrebbero infatti garantito vantaggi finanziari a imprenditori e professionisti, dietro pagamento di mazzette. In cambio del denaro, infatti, sarebbero state accolte istanze di rateizzazione di cartelle esattoriali, anche in assenza dei requisiti. I cinque avrebbero poi anche interferito nelle procedure di versamento dei contributi previdenziali alterando così sia la correttezza dei dati relativi ai pagamenti, sia la loro visibilità, per ottenere la rinuncia, da parte dell'ente di riscossione, nell'adottare procedure di esecuzione immobiliare. Dal canto suo Equitalia fa sapere che la collaborazione con gli inquirenti è piena e che fornirà tutti i documenti e le informazioni necessari "affinché venga fatta piena luce sui fatti oggetto di indagine e sulle eventuali responsabilità". 

 Fonte

 

Commento di Oliviero Mannucci: Ecco perchè l'Italia con il passare del tempo non potrà che andare peggio. Tempo fa pubblicai l'articolo che parlava di un ragazzo svantaggiato di Trento, che siccome non aveva potuto pagare il funerale del genitore morto, Equitalia gli sequestrava la casa, per poche centinaia di euro. Se invece hai soldi per corrompere gli "efficienti" funzionari di Equitalia, ecco che tutto si risolve, basta ungere un pò il meccanismo e se devi pagare un importo ti viene rateizzato anche quando non ci sono le condizioni per farlo. Non è rissollevando la Concordia che l'Italia fa bella figura all'estero, bisogna cominciare anche da queste cose, per non parlare poi della situazione delle carceri, della sanità pubblica, della scuola e di tante altre cose, la lista è lunghissima. Se non si cambierà direzione andremo verso la catastrofe! 

mercoledì 18 settembre 2013

Italia In caduta libera, l’obiettivo della “elite” finanziaria

Economist-torre


di Luciano Lago
Procede rapidamente, come una  frana che precipiti da una  alta montagna, la caduta libera dell’Italia verso il precipizio del massacro sociale, del sottosviluppo economico e della servitù verso i modelli culturali e politici imposti dalle centrali di potere.
Sembra che non ci sia niente in grado di fermare questa corsa verso il baratro: manca una percezione netta di quanto sta accadendo, ci si illude che qualcuno poi “arrivi a salvarci” , come nella vecchia tradizione storica italiana ci si affida allo straniero che possa “accorrere a liberarci” dal giogo dei poteri che ci stanno soffocando.
Soltanto quelli che hanno capito chiaramente a proprie spese che in questo paese è compromessa qualsiasi prospettiva di futuro, si fanno i bagagli ed emigrano. Si tratta  prevalentemente di giovani ,quelli più acculturati o più capaci, spinti dalla necessità o dall’orgoglio di volersi costruire un proprio percorso di lavoro, alcuni anche per formarsi poi una famiglia ed avere dei figli, cosa estremamente difficile in Italia.
Tutti gli altri, quelli che non possono muoversi o che non sono più giovani,  rimangono ed assistono inebetiti  ad un processo inesorabile di desertificazione industriale con migliaia imprese che chiudono, altre che de localizzano e trasferiscono gli stabilimenti oltre confine ,non soltanto nei paesi emergenti , ma anche  anche  in Svizzera, in Austria ed in Slovenia dove viene fatta molta pubblicità per gli imprenditori italiani alle condizioni favorevoli agli investimenti , ai servizi offerti ed alle infrastrutture, alla burocrazia semplice ed efficiente, ai costi ridotti del 40/50% dell’energia elettrica, alle imposte che sono meno della metà di quelle richieste in Italia.
Un fenomeno di enorme peso visto che il totale delle  imprese italiane trasferitesi  all’estero negli ultimi 10 anni ammonta a circa 27.000 imprese che hanno creato qualche cosa come un milione e 500.000 posti di lavoro nei paesi dove operano. Una perdita secca enorme per il sistema economico italiano, per l’occupazione e per la domanda interna e per lo stesso fisco, esoso e rapace con le piccole e medie imprese, che è stato uno dei fattori determinanti nella decisione di  migrazione delle imprese.
Nel contempo assistiamo al fenomeno, molto poco “spontaneo” e molto coordinato da una attenta regia, che consiste nell’arrivo in Italia di masse di emigranti su vecchi barconi dall’Africa o su navi più confortevoli dal Medio Oriente con “trasbordo” poi assicurato, vicino alle coste, sui barconi per assumere l’aspetto credibile dei “profughi” che vengono da zone di guerra, dalla Siria in particolare, per ottenere poi quello “status” ambito che permette alloggio, vitto ed indennità a carico dello Stato italiano. Uno Stato che utilizza risorse pubbliche e si assume oneri che altri Stati in Europa rifiutano (vedi espulsioni di clandestini dalla Spagna, dalla Grecia, dalla Gran Bretagna) ma che i governanti italiani, per inavvedutezza o demagogia, dopo aver imbarcato al governo personaggi mondialisti come la ministra Keynge (che disconosce la cultura italiana e parla di necessità di diventare un paese “meticcio”) oppure la Boldrini alla presidenza della Camera, che proviene da un organismo che come l’ONU che di disastri ne ha già prodotti tanti.
Lo stesso Stato che si dimostra avaro nei confronti dei propri cittadini spinti al margine della società perché privi di lavoro, di pensione ed a volte anche sfrattati e privi di alloggio, adducendo la motivazione della “mancanza di risorse” per provvedere a fornire un minimo di assistenza a persone o famiglie che si trovino nell’indigenza.
Tutto questo non è casuale ma è parte dello stesso processo di trasformazione, anche se pochi se ne rendono conto: si descrive come impoverimento programmato, imposizione di una moneta estera, acquisizione delle risorse del  paese (aziende pubbliche, banche, aziende private di pregio, risparmio privato, ecc.), controllo totale del sistema economico e bancario, immigrazione di massa e conseguente “africanizzazione” dell’Italia, imposizione di un modello multiculturale e multirazziale voluto, perdita dell’identità culturale propria e della sovranità nazionale. Uno schema abbastanza classico nelle operazioni neo coloniali ma inaspettato per un paese europeo. Per questo l’Italia fa da “testa di ponte”, paese sperimentale dove si vengono attuando tutte le nuove teorie che le centrali finanziarie sovranazionali vogliono attuare in vista della realizzazione di quel nuovo ordine mondiale che rimane l’obiettivo finale della elite finanziaria che orienta le decisioni al di sopra dei governi nazionali e si riunisce in circoli riservati (Club di Bilderberg, Trilateral Commision, Aspen Institute, ecc..).
In Italia non c’è bisogno di una guerra per imporre questo modello di società, come è stato necessario invece in altri paesi ad altre latitudini e con caratteristiche diverse, è stato così infatti in Libia, è accaduto in Irak e era accaduto in paesi dell’America Latina (dal Guatemala alla Colombia)  dove erano  intervenuti i “marines” USA,  il braccio armato della grande finanza, oppure milizie opportunamente armate ed addestrate dalla CIA, seguiti poi a breve distanza dallo sbarco in quei paesi del FMI, della Banca Mondiale e dalle varie “ ONG per lo “sviluppo ed i diritti umani”.
In Italia non è stato necessario poiché i “marines” sono sbarcati già nel 1943 e da allora non se ne sono più andati, non per nulla contiamo 113 basi USA sul nostro  territorio e se ne prevedono sempre di nuove (come il Muos a Niscemi).
In Italia c’è stato invece bisogno di appropriarsi di tutti i principali media informativi, dalle TV ai grandi giornali, di sovvenzionarli in buona parte attraverso “aiuti di stato” e controllarne totalmente il contenuto dell’informazione, approfittando di una classe di giornalisti ed opinionisti quasi tutti prezzolati e lesti nello schierarsi dalla parte del “politicamente corretto”, del vero potere, quello che conta, quello delle banche e dell’oligarchia europea, non certo  quello di cartapesta e ridicolizzato del cav. Berlusconi.
Tanto è presente questo totale controllo dei media che, la manipolazione delle notizie e le falsità dell’informazione diventano talmente evidenti che ormai, per seguire certi avvenimenti, bisogna ricorrere esclusivamente alle fonti di contro informazione presenti sul web o a testate estere dove ancora si trova qualche giornalista indipendente. Così si possono apprendere i retroscena di avvenimenti politici nazionali, di chi li muove dietro le quinte e quali siano le vere cause delle vicende politiche nazionali, soltanto leggendo le corrispondenze di giornalisti indipendenti  come ad es. Ambrose E. Pitchard, sul “The Telegraph”, che ci spiega quali furono le vere cause delle dimissioni di Berlusconi nel 2011, il ricatto della Merkel e dell’eurocrazia di Bruxelles per aver osato parlare di un possibile piano di uscita dall’euro.
 Se  ad esempio si vogliono leggere notizie veritiere sul fronte estero,  sulla guerra in Siria e sulle sue cause e non notizie false e manipolate dalla propaganda, meglio ricorrere a “Russia Today” o ad agenzie libanesi, argentine o iraniane, visto che i nostri media sono tutti strettamente allineati alle tesi di Obama e riescono a falsificare anche dichiarazioni ufficiali (di Putin o del governo siriano) non gradite.
Ma d’altra parte viviamo nell’epoca della “menzogna globale” e ci vogliono spacciare per “democrazia” un sistema di potere mascherato che tutto può rappresentare meno che la volontà espressa dai cittadini. Le trasformazioni sono in atto e la maggior parte dell’opinione pubblica, stordita dai media, non risulta ancora consapevole di queste trasformazioni. Sono pochi quelli che si sono accorti del fatto che in Italia siamo entrati già da parecchio tempo in una Repubblica Presidenziale di fatto, dove il vero capo del governo appare il capo dello Stato, Napolitano,  che assolve alla funzione di garante di poteri esterni, provvedendo alla nomina dei “fiduciari” graditi all’elite di potere sovranazionale e dove il governo (come dichiarato di recente dallo stesso Letta) opera come “cinghia di trasmissione” rispetto alle centrali di Bruxelles e di Francoforte, se c’è ( un governo) bene ma se non ci fosse, niente paura, il programma lo scrivono direttamente a Bruxelles.
I cittadini vanno a votare ma il loro voto non conta nulla: i governi vengono nominati dall’alto ed il Presidente rimane lo stesso a vita per evitare rischi di cambiamento. Ci vorrebbero convincere che si tratti di una soluzione nell’”interesse del paese”, confondendo l’interesse delle banche e dei mercati finanziari con gli interessi reali di milioni di cittadini che lavorano (o aspirerebbero a lavorare) senza essere strangolati da tasse esose e da un costo della vita ormai insostenibile per buona parte delle classi sociali che non vivono di rendita finanziaria o di mega stipendi pubblici.  Una democrazia questa o una dittatura? Sicuramente quelli chiamati dittatori, come Chavez in Venezuela o Assad in Siria, hanno ottenuto elezione popolare e consenso politico molti maggiori dei politici nostrani che vorrebbero anche impartire “lezioni di democrazia” agli altri.
Da notare che la costituzione italiana è stata disinvoltamente  cambiata e stravolta per consentire  l’introduzione dei trattati europei  come Mastricht e Lisbona   che tolgono ogni residua sovranità al paese nell’assordante silenzio dei commentatori politici.
Che la costituzione sia divenuta come una carta gommata che si tira da tutte le parti non importa molto. I costituzionalisti allineati tacciono o comunque giustificano tutto e poche voci si levano in dissenso.
La verità è che ci troviamo in una guerra non dichiarata dove l’obiettivo è la conquista di ogni risorsa che ancora possieda questo paese, dal risparmio delle famiglie alle aziende di Stato ed al patrimonio pubblico che dovrà passare ancora una volta in una fase di “privatizzazione” di beni e servizi perché così ci viene chiesto da Bruxelles per fare fronte ad un debito pubblico che ormai, grazie all’effetto dell’euro ed alle politiche di Monti e soci,  secondo tutti gli analisti seri, oltre ad essere moralmente “illegittimo” risulta ormai impagabile.
L’impoverimento generale è sicuro ed i dati che vengono descritti dagli enti come l’ISTAT sono dati da guerra: PIL a meno 4,6%, disoccupazione alle stelle con due milioni di disoccupati in più negli ultimi 3 anni, fuga di imprese e povertà diffusa.
I politici incapaci vorrebbero illuderci che si stia uscendo dalla crisi? Se tutto andasse  bene, occorrerebbero almeno sette/otto anni. Eccoli i veri conti del paese: rispetto al 2007 meno 9% di ricchezza prodotta. Meno 7,6% di consumi. Meno 27% di investimenti. Meno 25% della  produzione industriale. Meno sette per cento abbondante l’occupazione (al netto dei cassa integrati). Pressione fiscale ufficiale al 44,5%, pressione fiscale per chi le tasse le paga davvero al 53,5%. (al 65% quella reale sulle imprese, secondo la CGIA di Mestre). Debito pubblico che continua a crescere, al 131,7% del Pil.
Questo dimostra che la deindustrializzazione e quindi la trasformazione del sistema economico italiano ha toccato un punto di non ritorno e diventa irreversibile con tutto il suo carico di conseguenze su quanti sono rimasti fuori dal sistema produttivo e quant’altri sono in attesa di essere espulsi per le altre prossime chiusure di attività che si preannunciano dall’ILVA alla Fincantieri, dall’Alcatel all’Indesit, dall’Alstom all’Ansaldo Breda, alla Keller, all’Italcementi, e via con un elenco interminabile che comprende (solo per la grandi aziende) circa 150 tavoli di crisi al ministero dello “Sviluppo Economico”.
Auguri al  popolo italiano per quando si risveglierà dal letargo ma sarà sempre troppo tardi per rimediare.