IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

lunedì 30 dicembre 2013

Noam Chomsky, “ecco 10 modi per capire tutte le menzogne che ci dicono”

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Noam Chomsky, padre della creatività del linguaggio, definito dal New York Times “il più grande intellettuale vivente”, spiega attraverso dieci regole come sia possibile mistificare la realtà
 
La necessaria premessa è che i più grandi mezzi di comunicazione sono nelle mani dei grandi potentati economico-finanziari, interessati a filtrare solo determinati messaggi.
1) La strategia della distrazione, fondamentale, per le grandi lobby di potere, al fine di mantenere l’attenzione del pubblico concentrata su argomenti poco importanti, così da portare il comune cittadino ad interessarsi a fatti in realtà insignificanti. Per esempio, l’esasperata concentrazione su alcuni fatti di cronaca (Bruno Vespa é un maestro).
2) Il principio del problema-soluzione-problema: si inventa a tavolino un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Un esempio? Mettere in ansia la popolazione dando risalto all’esistenza di epidemie, come la febbre aviaria creando ingiustificato allarmismo, con l’obiettivo di vendere farmaci che altrimenti resterebbero inutilizzati.
3) La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4) La strategia del differimento. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, al momento, per un’applicazione futura. Parlare continuamente dello spread per far accettare le “necessarie” misure di austerità come se non esistesse una politica economica diversa.

5) Rivolgersi al pubblico come se si parlasse ad un bambino. Più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad usare un tono infantile. Per esempio, diversi programmi delle trasmissioni generaliste. Il motivo? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni, in base alla suggestionabilità, lei tenderà ad una risposta probabilmente sprovvista di senso critico, come un bambino di 12 anni appunto.
6) Puntare sull’aspetto emotivo molto più che sulla riflessione. L’emozione, infatti, spesso manda in tilt la parte razionale dell’individuo, rendendolo più facilmente influenzabile.
7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. Pochi, per esempio, conoscono cosa sia il gruppo di Bilderberg e la Commissione Trilaterale. E molti continueranno ad ignorarlo, a meno che non si rivolgano direttamente ad Internet.
8) Imporre modelli di comportamento. Controllare individui omologati é molto più facile che gestire individui pensanti. I modelli imposti dalla pubblicità sono funzionali a questo progetto.
9) L’autocolpevolizzazione. Si tende, in pratica, a far credere all’individuo che egli stesso sia l’unica causa dei propri insuccessi e della propria disgrazia. Così invece di suscitare la ribellione contro un sistema economico che l’ha ridotto ai margini, l’individuo si sottostima, si svaluta e addirittura, si autoflagella. I giovani, per esempio, che non trovano lavoro sono stati definiti di volta in volta, “sfigati”, choosy”, bamboccioni”. In pratica, é colpa loro se non trovano lavoro, non del sistema.
10) I media puntano a conoscere gli individui (mediante sondaggi, studi comportamentali, operazioni di feed back scientificamente programmate senza che l’utente-lettore-spettatore ne sappia nulla) più di quanto essi stessi si conoscano, e questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un gran potere sul pubblico, maggiore di quello che lo stesso cittadino esercita su sé stesso.

Si tratta di un decalogo molto utile. Io suggerirei di tenerlo bene a mente, soprattutto in periodi difficili come questi.



Fonte: linkiesta.it

Regalo di Natale, aumentano i carburanti. I consumatori: «Rincari vergognosi»

pompa-benzinaIl prezzo di benzina e gasolio sale di un centesimo al litro, in rialzo anche il Gpl. Il Codacons denuncia l’immobilismo della classe politica.

Natale all’insegna degli aumenti dei carburanti sia gasolio che benzina. Stando alla consueta rilevazione di Staffetta Quotidiana, a salire sono Eni e TotalErg (+1 centesimo su entrambi i prodotti), Esso (+0,5 sulla verde), IP (+0,8 su entrambi i prodotti) e Shell (+2 centesimi sulla verde).v
Aumenta così sensibilmente la media ponderate nazionale dei prezzi di verde e diesel tra le diverse compagnie in modalità servito: la prima arriva a 1,808 euro/litro (+0,8 centesimi), il diesel a 1,739 euro/litro (+0,6).Fermo il Gpl, dopo il balzo di sabato di Eni a 0,906 euro/litro. Stabile anche il metano a 0,991 euro/kg. «Come ogni anno le compagnie petrolifere fanno il loro ‘sgraditò regalo di Natale agli italiani, aumentando i prezzi dei carburanti in occasione delle partenze delle famiglie».

Lo afferma il Codacons, commentando gli ultimi ritocchi dei listini di benzina, gasolio e gpl. «Si tratta di aumenti vergognosi, perchè colpiscono i cittadini proprio nel momento in cui si accingono a consumare una maggiore quantità di carburante per gli spostamenti natalizi», afferma il presidente Carlo Rienzi. «Preoccupano in particolare gli abnormi rialzi per il gpl, che danneggiano quegli automobilisti che hanno scelto tale tipologia di carburante proprio in virtù del risparmio sul fronte dei listini».
«Cambiano i governi, ma la prassi di aumentare i prezzi dei carburanti in vista delle partenze degli italiani rimane una certezza tutta italiana – prosegue Rienzi – Desta sconcerto il totale immobilismo della classe politica e dei nostri ministri di fronte all’ennesima stangata per le tasche dei cittadini»

Fonte: http://notizieinvista.altervista.org/regalo-di-natale-aumentano-carburanti-consumatori-rincari-vergognosi/

domenica 22 dicembre 2013

Tagli alle associazioni Anpas! E gli stipendi dei politici regionali chi li tocca?

Guardare la TV, e sentire al Tg3  che il governo regionale sta preparando tagli alle Associazioni ANPAS di pronto intervento come Croce Verde  Croce Azzurra , ecc...  , fa pensare, o forse dimostra,  che i nostri governatori non hanno senso di responsabilità.Parlano di tagli alla sanità, alle ambulanze di pronto intervento , ma non si sente parlare dei loro stipendi. E' assurdo che ancora oggi i nostri politici dalla Regione in avanti, possono percepire stipendi da capogiro , benefici da tutte le parti.

 Lettera di Don Gianfranco Formenton ad un politico (ex leoni diventati agnelli)

 













Un esempio: un consigliere comunale di una realtà come Fermo percepisce circa € 27,00 a seduta consiliare, un vice sindaco ed assessore di un comune piccolo (es. Ponzano ) percepisce circa € 90,00 mensili, un consigliere regionale di maggioranza o minoranza circa € 10.000 lorde mensili più benefici, salvo poi non faccia l'assessore.
Questa politica in primis è da cambiare, partendo subito dai loro stipendi d'oro, passando poi al rinnovamento dei personaggi che, gira che ti rigira, sono sempre le stesse facce: una volta a destra, una volta a centro,
una volta a sinistra, ma da quella poltrona non se ne vogliono andare .
Molti personaggi vicini alla politica riescono a ricoprire più ruoli in contemporanea: consiglieri presidenti, responsabili di società partecipate o municipalizzate, tutto questo è assurdo!
A nessuno viene l' idea di poter avvicinare giovani con fior di lauree che non avendo un lavoro potrebbero essere inseriti in tali ruoli e nello stesso tempo abbattere il numero di disoccupati, e sicuramente con stipendi minori .
Ad oggi la politica è stata di tante parole, promesse, promesse, ed i problemi avanzano. Spero che tutti noi, spogliandoci da qualunque casacca e colore politico, possiamo essere in grado di costruire qualcosa di positivo per il bene nostro e dei nostri figli .

venerdì 20 dicembre 2013

Da crisi i danni di una guerra: "Italia ha perso oltre 12% di Pil, in fumo 200 miliardi reddito"

Esercito di disoccupati raddoppiato in sei anni, sono 7,3 milioni. Debito ancora in rialzo nel 2014. Allarme sulla tenuta sociale
 
Rapporto Scenari economici del Centro studi Confindustria. Dal 2007 l'Italia ha perso più del 12% di Pil.
Rapporto Scenari economici del Centro studi Confindustria. Dal 2007 l'Italia ha perso più del 12% di Pil. 

MILANO (WSI) - Numeri da bollettino di guerra, che rispecchiano tutta la disperazione e la situazione di grave difficoltà che gli italiani stanno vivendo sulla loro pelle, ormai da anni.

Mentre il premier Enrico Letta continua a fare l'ottimista, prevedendo addirittura un Pil in crescita del 2% nel 2015, i dati che vengono snocciolati dai vari centri studi e think tank raccontano una realtà completamente diversa, che stride non poco con i toni celebrativi del governo.

La fotografia della crisi arriva stavolta con il rapporto Scenari economici del Centro Studi di Confindustria. Dallo studio emerge che l'Italia ha perso più del 12% di Pil dal 2007, e che da allora sono andati in fumo oltre 200 miliardi di reddito. La speranza è sulle riforme, che devono essere però incisive. Solo con "incisive riforme strutturali si può recuperare il terreno perduto". Una crisi, insomma, che ha provocato "danni di una guerra".

Di fatto, rispetto alle "traiettorie già modeste del decennio 1997-2007 il livello del Pil potenziale è più basso del 12,6%, in altre parole sono andati bruciati oltre 200 miliardi di euro di reddito a prezzi 2013, quasi 3.500 euro per abitante".

Il dramma della disoccupazione è evidente. L'esercito di disoccupati - persone a cui manca lavoro, totalmente o parzialmente, è di 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. A partire dal 2014, secondo il Centro Studi, si dovrebbe però arrestare l'emorragia occupazionale.

L'impatto della Legge di Stabilità sulla crescita sarà "molto piccolo", di 0,1 o 0,2 punti sul Pil del 2014, scrive il Centro studio nel rapporto "La difficile ripresa. Cultura motore dello sviluppo". Di fatto, la manovra è una "occasione mancata".

Il Centro Studi di Confindustria rivede al ribasso le stime del Pil per il 2013 diffuse a settembre. Nel nuovo scenario è previsto un calo del Pil dell'1,8% quest'anno contro il -1,6% precedentemente calcolato. Per il 2014 gli economisti di viale dell'Astronomia prevedono un incremento dello 0,7% e nel 2015 dell'1,2%. Riguardo al 2013, la revisione delle stime del Pil "deriva da una variazione congiunturale di un decimo peggiore nel secondo trimestre (-0,3% contro -0,2%) e nel quarto (0,2% contro 0,3%)", si legge.

E per la prima volta viene stilato anche uno scenario alternativo, nel caso in cui le cose dovessero andare peggio. Sulla ripresa economica soffiano "venti contrari. Se il credit crunch proseguirà nel 2015 e la debolezza dell'economia renderà necessaria una manovra di un punto di Pil, nel 2014 il Pil salirà solo dello 0,4% e nel 2015 si avrà una crescita zero. E' questo lo scenario più negativo per l'economia italiana simulato dal Centro Studi di Confindustria negli ultimi Scenari economici.

"Questa simulazione - hanno spiegato gli economisti - tutt'altro che astratta e ben presente a molti analisti di banche d'investimento internazionali, suggerisce che occorre rimuovere ogni causa interna di turbolenza e incertezza e prendere rapidamente decisioni che elevino il Paese su un più alto sentiero di crescita".

L'andamento dell'economia fa centrare l'obiettivo dei conti pubblici fissato per il 2014 con il deficit al 2,7% del Pil, non quello per il 2015 (2,4%).

Il saldo strutturale non continua ad avvicinarsi al pareggio (1% del Pil tra due anni), nonostante l'ampio avanzo primario (4,5% del Pil al netto del ciclo, mezzo punto meno di quanto stimato tre mesi fa). Questo risultato "è stato ottenuto varando manovre per complessivi 109 miliardi (6,9% del Pil) dal 2009 in poi. Di cui 3 punti di maggiori entrate e 3,9 di minori spese".

Il debito pubblico, al netto dei sostegni europei e in rapporto al Pil, sale ancora nel 2014 (al 129,8%) per poi iniziare a flettere nel 2015 (128,2%); "una flessione tutta dovuta a un punto di privatizzazioni e dismissioni omogeneamente distribuite".

Preoccupazioni per il tessuto sociale italiano, caratterizzato sempre di più da continue proteste.

"Il pericolo maggiore (che si presenta nella strada per la ripresa) è il cedimento della tenuta sociale", con il "montare della protesta che si incanala verso rappresentanze che predicano la violazione delle regole e la sovversione delle istituzioni".

"Basta poco perché gli eventi prendano una piega infelice". Il destino dell'Italia "si ripete, con il coagularsi di importanti gruppi politici anti-sistema".

Sulla pressione fiscale, questa scenderà marginalmente al 43,9% nel 2014 dopo aver toccato il record nel 2013 con il 44,3% di Pil. 
 

mercoledì 18 dicembre 2013

Fermiamo questo Governo: sta regalando la Banca d’Italia ad Angela Merkel (Nicola Bizzi)


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Un decreto legge incostituzionale del Governo Letta regalerà la Banca d’Italia alla grande finanza internazionale

Lo scrittore Alberto Roccatano, autore del saggio “Dalle stragi del 1992 a Mario Monti” (di cui raccomando a tutti la lettura, in una sua recente inchiesta ha definito l’attuale Esecutivo”un Governo di congiurati”, dimostrando come la recente rivalutazione delle quote di partecipazione degli enti privati alla nostra Banca Centrale preluda ad un ingabbiamento definitivo del Popolo Italiano. L’obiettivo del Governo del bilderberghino Letta, imposto all’Italia dalla regia di Napolitano, si pone infatti l’obiettivo di impedire agli Italiani, nella cornice della legalità, di recuperare quella sovranità monetaria rivendicata invece in questi giorni di dura protesta popolare.
Anche il giornalista Francesco Forte, dalle pagine del Giornale, ha recentemente denunciato un’ulteriore cessione di sovranità dello Stato da parte di Letta ai poteri forti della grande finanza internazionale, dichiarando che stiamo letteralmente svendendo la Banca d’Italia alla Germania.
pare infatti che questo Governo stia svendendo a Berlino la nostra riserva aurea di 92 miliardi di Euro e 66 miliardi di valute pregiate e la nostra quota del 18% nella Banca Centrale Europea, quella del 3,24% nel Fondo Monetario e il controllo sui 145 miliardi di Euro di circolazione monetaria in Italia.
Più che un dubbio, si tratta di una drammatica certezza. Pochi Italiani si sono presi la briga di andarsi a leggere la Gazzetta Ufficiale del 30 Novembre 2013, e nello specifico il titolo II, riguardante la Banca d’Italia, quello che la autorizza ad aumentare il proprio capitale a 7,5 miliardi e dispone anche che nessuno dei suoi azionisti possa avere più del 5% del capitale sociale. Secondo quanto si legge, gli azionisti possono essere banche e assicurazioni non solo italiane ma anche estere, se hanno sede legale e amministrazione centrale in uno Stato dell’Unione Europea. Il passaggio della Banca d’Italia, già in mano a voraci banche e assicurazioni private, ad un effettivo controllo estero, alla luce dell’introduzione di queste norme, non è una ipotesi irreale, ma un serio e concreto rischio. Infatti, in base alla regola del 5%, il 43,8%  delle quote attuali di banche italiane dovrà essere venduto. Intesa San Paolo dovrà cedere il 25,3%, Unicredit il 17,3% e la Cassa di Bologna l’1,2%. Totale 43,8%. Inoltre, come rileva Francesco Forte, ci sono già tre soggetti finanziari esteri che possiedono quote di Banca d’Italia. Due, ossia la Banca Nazionale del Lavoro (di proprietà della BNP-Paribas) e la Allianz, non hanno la sede e l’amministrazione centrale in Italia ma in Francia e Germania. Le Assicurazioni Generali, pur avendo sede e direzione centrale in Italia, non hanno una maggioranza di controllo interamente italiana. La BNL ha il 2,8%, la Allianz l’1,3 e le Generali il 6,3. In totale, quindi, i soggetti esteri di diritto o di fatto già hanno il 10,4% del capitale di Bankitalia. Sommato al 43,8 di soggetti italiani, che va ceduto, fa il 54,2%. Qualcuno potrà obiettare che ci possano anche essere soggetti finanziari italiani interessati a comprare quote della Banca d’Italia, come ad esempio Cassa depositi e prestiti. Ma sin qui sono state contate solo le quote che dovranno vendute obbligatoriamente, non tutte quelle che possono, in teoria, essere vendute: cioè tutte quelle dei proprietari attuali. E fra questi, come rileva sempre Forte, qualcuno potrebbe avere necessità o elevata convenienza a vendere, ad esempio La Fondiaria, che fa parte del gruppo Ligresti. Inoltre, la convenienza a vendere potrà dipendere dal prezzo che verrà offerto. E una banca non italiana dell’Unione Europea potrebbe offrire un prezzo allettante per ottenere una partecipazione “strategica”.
Questo decreto legge consente inoltre agli attuali detentori delle quote di Bankitalia in eccesso al 5% di tenerle nel proprio patrimonio in parcheggio, senza diritto di voto e senza utili. Una tale partecipazione è accettata dal collegio sindacale di una banca o di un’assicurazione solo in attesa di vendita a un prezzo soddisfacente. Diversamente si tratta di un cespito che non avrebbero convenienza a mantenere, avendo ogni società per azioni, come fine, il profitto. E ciò soprattutto quando si stia discutendo di riserve patrimoniali obbligatorie.
Avete capito, quindi, dove vogliono andare a parare Letta e Saccomanni? Con una maggioranza estera della Banca d’Italia (maggioranza che ne deterebbe quindi il controllo), saremmo costretti a restare, con le mani legate, dentro il sistema dell’Euro perché non conteremmo più nulla. Non avremmo più alcuna voce in capitolo in sede BCE e in sede di istituzioni bancarie, come l’Unione Bancaria Europea, sorvegliata dalla Bce. Saremmo vincolati a tal punto che non potremmo uscire dall’Euro neanche se lo volessimo, o se un eventuale referendum popolare lo sancisse, perché le nostre riserve auree valutarie sarebbero nel totale controllo di banche estere che potrebbero rifiutare di emettere Euro-Lire, garantite da tali riserve.
Francesco Forte si chiede perché mai il ministro dell’Economia Saccomanni abbia pensato ed attuato una norma che crea gravosi rischi di perdita di autonomia alla nostra economia. La risposta sta probabilmente nella visita del “saccheggiatore dei campi di battaglia” (come l’ho definito in un mio precedente articolo) a Berlino per una riunione segreta e riservata con il Presidente della Bundesbank e il Ministro tedesco dell’Economia Schaueble, riunione, secondo varie indiscrezioni che sono filtrate, finalizzata a discutere l’Unione Bancaria Europea.
Occorre denunciare subito che, quelle pubblicate dalla Gazzetta Ufficiale, sono norme incostituzionali, in primis perché poste in un decreto legge mentre a esse manca ogni requisito di necessità e urgenza, e poi perché violano l’articolo 47 della Costituzione, I comma, che stabilisce che la Repubblica disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Con una Banca d’Italia a maggioranza estera (il che sarebbe una novità assoluta nel panorama delle Banche centrali) la politica del credito viene gestita dall’estero. Il potere monetario non può e non deve essere venduto (anzi, in questo caso svenduto) a soggetti esteri per decreto legge.
Chi avvalla o permette simili colpi di mano nel silenzio più assoluto dei giornali e all’insaputa dell’opinione pubblica, è un criminale e un traditore della Nazione. E dovrebbe trovare posto nelle patrie galere, non sui banchi del Governo. Un Governo peraltro ormai delegittimato e che dobbiamo mobilitarci tutti per far cadere al più presto, per evitare che possa fare ulteriori danni.
Mi chiedo dove sia la Magistratura e perché continui a guardare dall’altra parte. Anche i magistrati sono uomini e sono padri di famiglia. Vogliono veramente che i loro figli crescano in un’Italia totalmente asservita alla grande finanza usurocratico-bancaria internazionale?
Ci sarà mai un magistrato che finalmente apra gli occhi e faccia mettere sotto sequestro tutte le quote private della Banca d’Italia? Forse il momento è vicino, lo stiamo tutti aspettando!

Fonte

Telegraph: Il Presidente Italiano teme un'insurrezione violenta nel 2014, ma non propone nessun rimedio

Ambrose Evans Pritchard dal Telegraph commenta gli allarmi di Napolitano sui "Forconi" e le minacce non tanto velate di Draghi, che non offrono risposte alle tensioni sociali, ma solo imperativi impossibili. Non si può rimanere in recessione e disoccupazione di massa quando le soluzioni esistono e sono a portata di mano: la protesta sta diventando un movimento anti-Euro.

In Italia gli eventi stanno volgendo al peggio. Il presidente Giorgio Napolitano ha lanciato l'allarme su possibili "tensioni sociali e disordini diffusi" nel 2014, mentre la lunga recessione si trascina.
Coloro che vivono ai margini vengono coinvolti in "atti di protesta indiscriminata e violenta, verso una forma di opposizione totale".

Il suo ultimo discorso è una vera e propria Geremiade. Migliaia di aziende sono "sull'orlo del collasso". Grandi masse di persone prendono il sussidio di disoccupazione o rischiano di perdere il posto di lavoro. L'altissimo tasso di disoccupazione giovanile (41%)  sta portando verso un pericoloso stato di alienazione.


"La recessione sta ancora mordendo duro, e c'è la sensazione diffusa che sarà difficile sfuggirle, e trovare il modo per tornare alla crescita" ha detto.

Ma ora, quale potrebbe essere la causa di tutto questo? Potrebbe avere qualcosa a che fare con il fatto centrale e prioritario che l'Italia ha una moneta sopravvalutata del 20% o più, all'interno dell'Unione Monetaria Europea: che è intrappolata in un sistema di cambi fissi stile anni '30, gestito da una banca centrale anni '30, che sta lì a guardare (per motivi politici) mentre l'aggregato monetario M3 ristagna, il credito si contrae e la deflazione incombe?

Napolitano non offre alcuna risposta. Ex stalinista, che ha applaudito all'invasione sovietica dell'Ungheria nel 1956 (un peccato giovanile), Napolitano da tempo ha manifestato il suo fervore ideologico a favore del progetto UE. Egli è per natura incapace di mettere in discussione le premesse dell'unione monetaria, quindi non aspettatevi nessuno spunto utile dal Quirinale su come uscire da questa impasse.

Egli ammette che la crisi della zona euro "ha messo a dura prova la coesione sociale", ma lascia la questione in sospeso, e la sua argomentazione incompiuta, più sul descrittivo che sull'analitico.

Senza arrivare al punto di lanciare l'allarme sul rischio che corre lo Stato italiano stesso, ha detto che la crescente minaccia delle forze insurrezionali deve essere affrontata. La legge deve essere rigorosamente rispettata. Il paese deve andare avanti con disciplina. "L'Europa ci sta guardando", ha detto.

Napolitano è allarmato, e ha ragione di esserlo. La rivolta dei "Forconi" ha preso una svolta inquietante per le élite dell'Italia. Durante l'ultima manifestazione di massa a Torino la polizia si è tolta i caschi, come manifestazione di simpatia.

Questo sta diventando un movimento anti-UE. Uno dei leader dei Forconi è appena stato arrestato per essere salito agli uffici dell'Unione europea a Roma e aver strappato giù la bandiera blu e oro dell'Europa.

Dove porti tutto questo nessuno lo sa. Secondo Citigroup nel 2014 l'Italia resterà bloccata in depressione con una crescita dello 0.1%, di nuovo a zero nel 2015, e allo 0.2% nel 2016. Se è così, ben otto anni dopo la crisi, la produzione in Italia sarà ancora del 10% sotto l'ultimo picco, una performance di gran lunga peggiore di quella avuta durante la Grande Depressione.

Anche se la zona euro incontrasse una ripresa nel corso dei prossimi tre anni o giù di lì, il meglio che l'Italia possa sperare è la stabilizzazione su livelli di disoccupazione di massa – al 20% se si considera l'altissimo livello di lavoratori Italiani scoraggiati (numero tre volte superiore alla media UE) che sono usciti fuori dalle statistiche. La domanda è quanto tempo la società potrà tollerare tutto questo. Nessuno di noi sa la risposta.

Per ora l'Italia ha evitato un ritorno agli "anni di piombo", il terrorismo tra gli anni '70 e i primi anni '80, quando la stazione ferroviaria di Bologna fu fatta saltare dai fascisti e l'ex premier Aldo Moro fu sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse. Ma questo tipo di violenza non è poi così lontano come la gente pensa. Nel 2011 il capo dell'agenzia fiscale Equitalia è stato quasi accecato da una lettera bomba di matrice anarchica. Da allora ci sono stati ripetuti casi di attacchi dinamitardi.

La mia ipotesi è che ad un certo punto ci sarà un incidente - un po' come lo scontro tra le truppe francesi e i portuali a Brest nel 1935, quando un lavoratore fu colpito a morte con il calcio di un fucile, mettendo in moto degli eventi che infine costrinsero Laval alle dimissioni e fecero uscire la Francia dal Gold Standard.

A coloro che continuano a insistere che l'Italia deve stringere la cinghia e recuperare competitività tagliando i salari, vorrei obiettare che questo è matematicamente impossibile, in un clima di ampia deflazione o quasi deflazione in tutta l'UEM.

La ragione dovrebbe essere evidente a tutti, ormai. Non è possibile permettere allo stock di debito nominale di salire su una base nominale in contrazione. Una politica del genere fa sì che la traiettoria del debito aumenti in maniera esponenziale. Negli ultimi tre anni il debito Italiano è già aumentato dal 119% al 133% del PIL, in gran parte a causa delle politiche di austerità fiscale.

Sotto le attuali politiche UEM questo rapporto presto sfonderà il 140%, nonostante l'avanzo primario del bilancio Italiano - un livello oltre il punto di non ritorno per un paese senza moneta sovrana o senza una propria banca centrale. Tale è il potere dell'effetto denominatore.

Giusto per essere chiari. Non credo che l'Italia debba lasciare l'euro come prima opzione. Ci sono altre misure che dovrebbero essere prese prima, se non altro per costruire un contesto politico e morale favorevole.

L'Italia può cambiare la sua strategia diplomatica, spingendo per un cartello degli stati debitori del Club Med a leadership francese che prenda il controllo della BCE e della macchina politica dell'UEM. Hanno i voti, e la piena autorità legale basata sui trattati, per forzare una strategia di reflazione che potrebbe cambiato tutto, se solo osassero.

Questo è più o meno il nuovo piano di Romano Prodi, ex premier Italiano e "Mr. Euro", che ora sta sollecitando l'Italia, la Spagna e la Francia a unirsi, piuttosto che illudersi di poter fare da soli, e "sbattere i pugni sul tavolo".

L'economista premio Nobel Joe Stiglitz riprende il tema su Project Syndicate , dicendo: "Se la Germania e gli altri non sono disposti a fare il necessario - se non c'è abbastanza solidarietà per far funzionare la politica - allora l'euro potrebbe dover essere abbandonato per salvare il progetto europeo".

Ieri, al Parlamento europeo, Mario Draghi della BCE ha avvertito che l'uscita dall'UEM porterebbe ad una svalutazione del 40% e a una crisi che metterebbe qualsiasi paese in ginocchio, ancor più brutalmente di quella che si deve affrontare adesso. Questo è sempre lo stesso argomento che viene portato avanti in difesa dei regimi di cambio fissi, sia del Gold Standard nel 1931, che dello SME nel 1992, o dell'ancoraggio argentino al dollaro nel 2001. E' stato dimostrato falso, anche nel caso dell'Italia negli anni '90, quando la svalutazione ha funzionato benissimo.

Draghi si sofferma sul trauma immediato, ma ignora gli effetti molto più corrosivi di una crisi permanente. I paesi possono infatti recuperare molto velocemente se il tasso di cambio si sblocca. Si potrebbe ugualmente sostenere che ci sarebbe una marea di investimenti in Italia nel momento in cui il paese prendesse risolutamente il toro dell'euro per le corna e ristabilisse l'equilibrio valutario.

In ogni caso, la tesi di Draghi presuppone che la BCE lascerebbe accadere una svalutazione del 40%, anche quando le potenze del nord hanno un forte interesse ad assicurare un'uscita ordinata dell'Italia? La BCE potrebbe intervenire sui mercati FX per stabilizzare la lira per un paio di mesi, fino a quando la situazione si calmasse. Questo eviterebbe gli eccessi, eviterebbe delle perdite rovinose per il blocco dei creditori e degli esportatori tedeschi, ed eviterebbe una crisi da deflazione in Germania, Olanda, Finlandia e Francia.

Quello che Draghi sta implicitamente affermando (senza volerlo), è che la BCE si comporterebbe in maniera spericolata, punendo l'Italia per il gusto di farlo, anche se questo potrebbe rendere l'intera prova peggiore per tutti. Sarebbe stato bello se un deputato gli avesse chiesto perché mai la BCE dovrebbe fare una cosa del genere.

Quello che sembra certo è che nessun paese democratico sopporterà uno stato perdurante di semi-recessione e disoccupazione di massa, quando esistono delle alternative plausibili. 
 

L’ Istat lancia l’ allarme: il livello di vita degli italiani è tornato al secondo dopoguerra. (Bruno Rosso)


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Impietose le cifre rilasciate oggi dal principale istituto statistico della penisola: il 29,9% delle persone residenti in Italia è a rischio povertà o esclusione sociale. L’indicatore è cresciuto di 1,7 punti rispetto al 2011 e di 5,1 rispetto alla media europea, ferma al 24,8%. Dati inoppugnabili e al tempo stesso inquietanti che non lasciano spazio alcuno a dubbi sulla reale portata della crisi sistemica che da anni attanaglia l’Occidente avanzato

Le percentuali sviscerate sono il risultato di un sistema di combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2011), della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro. L’indicatore adottato da Europa 2020 è la risultante di quella porzione di popolazione che patisce almeno una di queste condizioni. In particolare l’Istat registra una diffusione della “severa deprivazione” superiore alla media europea (9,9%). Aumentano gli individui che non si possono permettere una settimana di ferie (dal 46,7% al 50,8%), di riscaldare adeguatamente casa (dal 18,0% al 21,2%), sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6% al 42,5%) o un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 12,4% al 16,8%).
Nel 2011 la metà delle famiglie residenti in Italia ha percepito un reddito netto non superiore a 24.634 euro l’anno (circa 2.053 al mese). Nel Sud e nelle Isole il 50% delle famiglie percepisce meno di 20.129 euro (circa 1.677 euro mensili). Il reddito mediano delle famiglie, che vivono nel Mezzogiorno é pari al 73% di quello delle famiglie residenti al Nord; per il Centro il valore sale al 96%. Il 20% più ricco delle famiglie residenti in Italia percepisce il 37,5% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta l’8%.
Il rischio di povertà o esclusione sociale, inoltre, è più alto per le famiglie numerose (39,5%) o monoreddito (48,3%). Aumenti significativi, tra il 2011 e il 2012, si registrano tra gli anziani soli (dal 34,8% al 38,0%), i monogenitori (dal 39,4% al 41,7%), le famiglie con tre o più figli (dal 39,8% al 48,3%), se in famiglia vi sono almeno tre minori. Quasi la metà (il 48%) dei residenti nel Mezzogiorno è a rischio di povertà ed esclusione sociale nel 2012 e oltre uno su quattro (25,2%) vive in grave disagio economico. L’incremento è infatti di 5,5 punti dal 2011, contro i 2 punti del Nord (dal 6,3% all’8,3%) e i 2,6 punti del Centro (dal 7,4% al 10,1%). Inoltre, al Mezzogiorno i redditi familiari risultano più bassi del 27% rispetto al Nord.

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lunedì 16 dicembre 2013

Istat: il 30% degli italiani a rischio povertà o esclusione sociale

Nel 2012 il 29,9% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020. È quanto rileva l'Istat, sottolineando che l'indicatore cresce di 1,7 punti rispetto al 2011 ed è di 5,1 punti percentuali più elevato rispetto a quello medio europeo (pari al 24,8%)
Poveri d'Italia
Si tratta di un indicatore, spiega Istat, che deriva dalla combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2011), della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro. L'indicatore adottato da Europa 2020 viene definito dalla quota di popolazione che sperimenta almeno una di queste condizioni. In particolare l'Istat registra una diffusione della "severa deprivazione" superiore alla media europea (9,9%). Aumentano gli individui che non si possono permettere una settimana di ferie (dal 46,7% al 50,8%), di riscaldare adeguatamente casa (dal 18,0% al 21,2%), sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6% al 42,5%) o un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 12,4% al 16,8%).
Nel 2011 la metà delle famiglie residenti in Italia ha percepito un reddito netto non superiore a 24.634 euro l'anno (circa 2.053 al mese). Nel Sud e nelle Isole il 50% delle famiglie percepisce meno di 20.129 euro (circa 1.677 euro mensili). Il reddito mediano delle famiglie, che vivono nel Mezzogiorno é pari al 73% di quello delle famiglie residenti al Nord; per il Centro il valore sale al 96%. Il 20% più ricco delle famiglie residenti in Italia percepisce il 37,5% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta l'8%. In base all'indice di Gini la diseguaglianza é rimasta stabile e anche la quota di reddito posseduta dal 20% più ricco e più povero della popolazione.
Il rischio di povertà o esclusione sociale, inoltre, è più alto per le famiglie numerose (39,5%) o monoreddito (48,3%). Aumenti significativi, tra il 2011 e il 2012, si registrano tra gli anziani soli (dal 34,8% al 38,0%), i monogenitori (dal 39,4% al 41,7%), le famiglie con tre o piu' figli (dal 39,8% al 48,3%), se in famiglia vi sono almeno tre minori.

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UE, Bloom a Strasburgo: appena capiranno i vostri inganni vi impiccheranno!




“Quando i popoli si renderanno conto di cosa siete, non gli servirà molto tempo per prendere d’assalto questo Parlamento e impiccarvi. E avranno ragione”. Questa la dichiarazione dell’europarlamentare inglese Godfrey Bloom che ha rivolto all’Aula di Strasburgo il 21 novembre durante la discussione sulla stesura del nuovo budget dell’Unione Europea per il periodo 2014-2020. Senza troppi giri di parole, l’europarlamentare ha accusato i colleghi europarlamentari: “Voi siete i più grandi evasori di tutta Europa e sedete qui a pontificare. Scoprirete che gli euroscettici torneranno a giugno sempre più numerosi”. Bloom è stato espulso lo scorso settembre dal Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP), guidato da Nigel Farage, politico che più volte ha rivolto al Parlamento europeo dichiarazioni populiste apertamente euroscettiche per chiedere l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa

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venerdì 13 dicembre 2013

Forconi, mercoledì grande manifestazione a Roma, ma nessun corteo per evitare infiltrazioni

Mercoledì prossimo si svolgerà a Roma una grande manifestazione con un presidio dei Forconi, che proseguirà ad oltranza, ma non ci sarà alcun corteo «per evitare qualsiasi tipo di infiltrazioni che non appartengono al movimento». Lo ha annunciato il Coordinamento 9 Dicembre in una conferenza stampa che si è svolta a Roma.

«Non vogliamo fare la guerra sulle strade, siamo persone disponibili che vogliono soluzioni equilibrate, democratiche. Abbiamo fatto questa forzatura alla democrazia, perchè altrimenti nessuno ci avrebbe considerato». Lo ha detto a SkyTg24 Mariano Ferro, uno dei leader del movimento dei forconi. «Chiediamo scusa a tutti gli italiani che hanno dovuto subire disagi, ma non potevamo fare altrimenti. «Noi prendiamo le distanze da tutti i facinorosi e violenti», aggiunge Ferro: «non vogliamo arrivare a delle soluzioni in modo violento, ma in modo pulito».

Il leader siciliano del movimento ha quindi affermato che i presidi andranno avanti e confermato che a Roma non ci sarà un corteo, ma solo «un presidio statico dove nessuno potrà spaccare vetrine o sfogare i propri istinti animali». «Siamo d'accordo con il ministro Alfano quando dice 'pugno duro contro i teppistì - continua - ma non c'è arrivata nessuna richiesta di dialogo: comincio a sospettare che questo governo non abbia soluzioni». A proposito del fronte sindacale che sostiene la protesta, Ferro ha criticato i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil che non scioperano «perchè sono sempre stati vicini al potere, mentre noi siamo vicini alle esigenze di tante famiglie che non ne possono più».


Prossima tappa Roma Un centinaio di appartenenti al movimento dei Forconi ha tenuto un'assemblea a Napoli, in piazza Carlo III, con il leader del coordinamento nazionale «9 dicembre», Danilo Calvani. Prossimo obiettivo della protesta - ha detto Calvani - è una manifestazione a Roma che dovrebbe tenersi, se ci saranno le autorizzazioni, il 18 dicembre in piazza del Popolo. In piazza Carlo III, a Napoli, i rappresentanti di Battipaglia, Caserta, Aversa, che hanno portato anche l'adesione degli agricoltori. Non sono mancati però i dissensi e il gruppo napoletano ha chiesto che la manifestazione nazionale si tenga non a Roma ma a Napoli, spingendo per la linea dei blocchi stradali e della contestazione più accesa.


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Proteste, forconi da Latina a Roma Calvani: "A casa questa classe politica"

Quinto giorno di proteste: un gruppo di manifestanti, alla guida di alcuni trattori, si è diretto verso la Capitale

Continua la rivolta dei Forconi. Un gruppo di manifestanti, partito da Latina, alla guida di alcuni trattori, si è diretto a Roma. "Continueremo la protesta per il tempo che serve in maniera civile come abbiamo fatto fino ad ora. Il nostro obiettivo è mandare a casa questa classe politica che ha fatto il male dell'Italia", ha detto il leader dei Forconi, Danilo Calvani.
Proteste, forconi da Latina a Roma Calvani: "A casa questa classe politica" 
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Forconi contro Equitalia «Basta omicidi di Stato»

Ai dirigenti dell'agenzia consegnata una targa ironica: «Riconoscenti ai parassiti» Sul piazzale i manifestanti portano uova e accendono ceri per gli imprenditori suicidi 

 


La protesta del “Coordinamento 9 dicembre” iniziata lunedì scorso al presidio permanente allestito all'uscita del casello autostradale della A4 di Soave, ha toccato ieri mattina uno dei luoghi simbolo della ribellione contro lo Stato, la sede di Equitalia in via Nicolò Giolfino.
Al direttore della società di riscossione che fa capo all'Agenzia delle Entrate guidata da Attilio Befera, Lucio Chiavegato dei Liberi imprenditori federalisti europei (Life) e tra i portavoce della protesta ribattezzata in tutta Italia come «la rivolta dei Forconi», ha consegnato un dono natalizio anticipato: un'ironica targa con incisa la frase «Riconoscenti della vostra importante opera di parassiti collaborazionisti con lo Stato italiano ladro e truffatore», firmato «il popolo italiano». L'incontro tra Chiavegato, accompagnato da una piccola delegazione, e il rappresentante di Equitalia, si è tenuto in maniera strettamente privata all'interno dell'edificio che ospita la società ed è durato in tutto una ventina di minuti circa. L'accesso nella sede è stato negato a giornalisti, fotografi e operatori.
All'uscita dal complesso, l'imprenditore di Bovolone ha comunicato al centinaio di manifestanti rimasto fuori ad attenderlo i contenuti della conversazione. «È stato un colloquio molto semplice, ci siamo stretti la mano e dati del tu», ha raccontato Chiavegato. «Ci ha detto che lui è solo un applicatore della legge e che avrebbe dato un segnale ai suoi superiori del disagio manifestato. Purtroppo», ha continuato Chiavegato, «è l'intero sistema politico, economico e finanziario a essere sbagliato, le aziende devono vivere e invece qui le fanno morire».
Morti che non toccano solo ditte e imprese, ma purtroppo sempre più spesso anche i loro titolari che si tolgono la vita. Per questo motivo prima di entrare all'interno di Equitalia, i manifestanti, con tanto di lumini votivi, hanno osservato un minuto di silenzio per quelle che Chiavegato non ha esitato a definire «vittime di omicidi di Stato».
«Non si tratta di semplici suicidi», ha dichiarato il leader della protesta, «spesso sono persone oneste, che pagavano le tasse, ma che per un problema di cui non hanno avuto colpa, si sono viste arrivare a case cartelle esattoriali con cifre astronomiche, in grado di portare alla pazzia e a fare purtroppo gesti inconsulti».
Fatalità, proprio mentre si teneva la manifestazione, dall'edificio della società di riscossione è uscita Sara, imprenditrice nel settore dell'arte funeraria, che ha raccontato la storia della sua società, sciolta a causa della crisi, e le difficoltà che ha successivamente dovuto affrontare. «Non c'è l'ho con chi lavora dentro ad Equitalia», ha spiegato la donna, «ma con quei politici che stanno a Roma e che prendono 20mila euro al mese e non hanno la minima idea di cosa passano persone per cui un panettone a Natale è un lusso. Oramai», ha continuato l'imprenditrice quasi in lacrime, «viviamo nel terrore che ci tolgano tutto, lasciati a noi stessi, con un sacco di problemi e senza nessuno che ti dà una mano».
In precedenza, i manifestanti avevano dato vita ad un finto lancio di uova contro la sede di Equitalia, si è trattato solamente di un gesto simbolico, le uova sono poi state tutte rimesse al loro posto.
«Ci accusano di essere delinquenti», ha osservato sarcasticamente Chiavegato, «ma in realtà siamo solamente dei semplici cittadini e le uova possono anche tenersele per farsi una frittata».
Per tutta la durata del sit-in non si sono verificati disordini, la protesta si è svolta pacificamente e senza alcuna tensione con le forze dell'ordine. «Allo Stato chiediamo di far sospendere il pagamento e l'emissione di cartelle esattoriali per i prossimi sei mesi per evitare che le aziende falliscano, di annullare tutte le procedure di sequestro delle prime case e di non applicare sanzioni e interessi sulle rateizzazioni», ha concluso Chiavegato.

Francesco Scuderi

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