L’anno scorso hanno chiuso i battenti quasi 380.000 mila imprese, oltre
mille al giorno. La pressione fiscale per le imprese è del 75%. Mentre
il livello in rapporto al Pil ha superato il 44%. Nei bilanci Inps c’è
un buco di oltre 10 miliardi
NEW YORK (WSI) - L’anno scorso hanno chiuso i battenti quasi 380.000 mila imprese, oltre
mille al giorno.
Secondo quanto riportato di recente dalla CGIA di Mestre, almeno
un'impresa su due, delle piccole e medie imprese rimaste, pagano a rate i
propri collaboratori, o si indebitano per poterlo fare. Stanno anche
accumulando debiti tributari crescenti, o ricorrono al credito esterno
per poter sostenere il carico fiscale. La
pressione fiscale, per le imprese, è del 75% o forse più. Mentre il livello in rapporto al Pil ha superato la soglia del 44%.
Dall’inizio della crisi, i
titoli di credito (assegni bancari o
postali, cambiali, tratte ecc. ecc.) che alla scadenza non hanno trovato
copertura sono cresciuti quasi del 13%.
Sempre secondo quanto ci riferisce l'Associazione di Mestre, le
sofferenze bancarie in capo alle aziende hanno subito un incremento del
165%.
A proposito di banche, abbiamo la banca più antica del mondo, il
Monte Paschi,
che è in bancarotta e negli ultimi quattro anni sono stati necessari
ben due interventi statali per rianimarla e prolungarne l’agonia: il
primo con i Tremonti Bond, il secondo con Monti Bond. Costo complessivo
dell'operazione, oltre 4 miliardi di euro, pari all'intero gettito IMU
sulla prima casa. Sarebbe curioso indagare approfonditamente anche
sugli altri gruppi bancari, al fine di capire l’esatto stato di
solvibilità e l’utilizzo che è stato fatto della montagna di derivati
che hanno in pancia. Che siano stati utilizzati anche per abbellire i
conti? Non lo sappiamo, ma se è vero che pensare male si commette
peccato, è anche vero che talvolta ci si azzecca.
Pochi giorni fa, è emerso che nei bilanci dell'Inps c’è un
buco di oltre 10 miliardi
di euro, e sempre lo stesso ente, in base ai dati del 2011, fa sapere
che in Italia le prestazioni pensionistiche inferiori ai 1000 euro, sono
il 77% del totale, e oltre 2,4 milioni di pensionati, invece,
ricevono un assegno inferiore a 500 euro mensili. Somme che, vista
l'esiguità e il crescente costo della vita, condannano i percettori a
vivere in condizioni di crescente indigenza e ovvia difficoltà,
soprattutto in età avanzata.
I disoccupati sfiorano i 3 milioni. Il tasso disoccupazione è intorno
al 12%, mentre quella giovanile è prossima al 40%, con picchi vicini al
50% al sud. Fuori del perimetro dei dati appena enunciati, c’e un
numero considerevole di cassaintegrati in forza ad aziende che non
avranno mai la possibilità di riprendersi da questa crisi, e presto
diverranno disoccupati in pianta stabile proiettando il tasso di
disoccupazione ben oltre il 15%.
A dimostrazione di quanto appena affermato a proposito del crescente
stato di povertà, proprio pochi giorni fa, un sito Usa ha diffuso
un'analisi secondo la quale il
tasso di rischio di povertà
italiano ha superato quello della Spagna. Non solo, ma in un'altra
analisi diffusa dallo stesso sito, emerge che il tasso di disoccupazione
giovanile ha superato quello del Portogallo attestandosi oltre il 38%,
un livello analogo a quello della Grecia di appena 2 anni fa.
Nell’ultimo anno, nonostante la spremitura di tasse operata dal Governo
Monti con il sostegno congiunto del Pd e del Pdl, il debito pubblico è
aumentato di oltre 80 miliardi di euro superando la barriera dei 2000
miliardi, attestandosi a quasi il 128% del PIL. Ormai si viaggia
speditamente verso i parametri greci.
Nello stesso periodo il PIL è crollato del 2,4%, e se dovessimo
allungare l’orizzonte ai 5 anni precedenti, osserveremmo che la crescita
nazionale si è contratta di oltre il 7% dall’inizio della crisi.
La produzione industriale è crollata a livelli che non si vedevano da
decenni, così come sono crollati consumi precipitati sotto i livelli del
2001. Un numero considerevole di famiglie confermano che possono
arrivare a fine mese solo intaccando i risparmi accumulati in una vita, o
dalle generazioni passate.
Un numero sempre più significativo di comuni e regioni, sono in difficoltà finanziarie e sempre più prossimi alla bancarotta.
Le pubbliche amministrazioni statali devono alle imprese circa 70
miliardi di euro, che si sommano agli ulteriori 70 miliardi che devono
pagare le autonomi locali, arrivando all'iperbolica cifra di 140
miliardi. Queste somme non rientrano nel perimetro del debito pubblico
e, se così’ fosse, il
rapporto debito/Pil schizzerebbe oltre il
140%; ammesso che ci siano investitori disponibili a comprare il debito
pubblico per pagare i debiti delle Pa.
Le imprese italiane, negli ultimi sei anni, ossia dall'inizio della
crisi, hanno perso oltre 500 miliardi di euro di fatturato. La
cancelliera Angela Merkel,
non più tardi di qualche settimana fa, ha affermato che con ogni
probabilità, l'attuale crisi, si protrarrà per almeno altri 5 anni. E
arriviamo così a undici anni di crisi. Ci dicono che dobbiamo lavorare
oltre 40 anni, e ci può anche stare. Ma in queste condizioni significa
trascorrere oltre un quarto della vita lavorativa e professionale in
profonda crisi. E non è affatto escluso che quelle che verranno in
seguito non siano ancor più frequenti o meno profonde di quella attuale.
Il rischio è quello di convivere con
recessioni economiche per buona parte della carriera professionale. Questo, è semplicemente impossibile.
Paghiamo una novantina di miliardi all'anno per interessi sul debito
pubblico, che si autoalimenta e cresce per inerzia. Questo, nella sua
connotazione attuale, e in un simile ambiente, è semplicemente
impagabile.
Siamo all'
ingovernabilità totale e, con ogni probabilità,
passeranno ancora lunghi mesi prima di poter avere un esecutivo capace
di governare. Per quanto qualificato possa essere, che un nuovo governo
possa invertire questa tendenza, è solo un pia illusione che può
albergare nelle menti che pericolosamente rifuggono dalla realtà dei
fatti. Il processo è inarrestabile, e tenderà ad accelerare con il
trascorrere dei mesi. Se tutto ciò non fosse sufficiente, si potrebbe
andare avanti ancora per ore. Ma non cambierebbe affatto il risultato.
Ormai il
punto di non ritorno è stato superato, da un pezzo.
L’Italia è fallita, fatevene una ragione. Se per crederci attendete la
conferma da parte del mondo politico, state pur certi che verrà
annunciata solo dopo che vi avranno tolto tutto, anche la speranza.
Si sta cercando di mantenere l’apparente solvibilità dello Stato e del
sistema bancario,
rendendo insolventi unnumero mostruosamente crescente di imprese e
famiglie. Questo è solo un massacro alla devastazione che rischia di
abbattere del tutto quel che rimane del sistema produttivo nazionale,
compromettendo o rendendo più ardua ogni possibilità di risalita.
E' indispensabile avere un piano B per garantirci, eventualmente, una
via di fuga e uscire dai vincoli imposti da questa camera a gas chiamata
eurozona. Occorre dichiarare il default e annunciare la
ristrutturazione del debito tagliandone il capitale, gli interessi e
riprogrammando le scadenze verso un sentiero più sostenibile.
Questo evento, per quanto traumatico possa essere, nel comune interesse
di tutti, se concertato anche con istituzioni sovranazionali e
creditori, limiterà gli effetti devastanti di un default incontrollato
che non tarderà ad arrivare. Eviterà l'annientamento dell'apparato
produttivo e del tessuto imprenditoriale, altrimenti perennemente al
servizio del debito e di un apparato burocratico/amministrativo degno
della
peggiore Unione Sovietica, fino alla scomparsa.
L'alternativa a questo saranno
scontri sociali, rivolte,
scomparsa di buona parte del tessuto produttivo, svendita di interi
settori industriali, perdita dei diritti acquisiti, compressione dello
stato sociale, povertà diffusa e bancarotta. Quella vera intendo, quella
imposta dalle regole del mercato selvaggio.
Paolo Cardenà
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