IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

domenica 31 marzo 2013

Casa le spese insostenibili per famiglie italiane

 

La casa dovrebbe essere qualcosa di sicuro e in cui poter trovare un po’ di tranquillità e serenità, lontano da tutti i problemi che la vita ci pone di fronte; ma negli ultimi tempi essa è diventata una spesa insostenibile per 3 milioni di famiglie italiane.
Una spesa insostenibile che deriva principalmente dall’aumento notevole delle spese, a partire dalle bollette della luce e del gas, passare per le tasse come l’Imu fino ad arrivare ai costi per l’affitto o per il mutuo.
Tutti questi fattori stanno spingendo sempre più le famiglie verso la povertà.
Basti pensare che, secondo un recente calcolo, le spese di un appartamento di proprietà si aggirano intorno ai 1150 euro, mentre per gli appartamenti in affitto arrivano ai 1515 euro.
Sempre dallo stesso studio fatto dalla Cgil, si rileva che gli affitti siano aumentati del 130% per i contratti rinnovati e del 150% per i nuovi contratti.
Infine, sono aumentati anche gli sfratti per morosità: le vittime principali dello sfratto sono i giovani under 35 che hanno perso il posto di lavoro, le famiglie di migranti e i nuclei composti da anziani.

Pasqua: è "crisi epocale"

Per Pasqua sono in partenza il 14,1% di italiani in meno dello scorso anno. Secondo l'indagine effettuata dall Istituto ACS Marketing Solutions per Federalberghi, andranno in vacanza, dormendo almeno una notte fuori casa, 8,2 milioni di persone, contro i 9,5 milioni del 2012, di preferenza in casa di amici e parenti

 

Per Pasqua sono in partenza il 14,1% di italiani in meno dello scorso anno. Secondo l'indagine effettuata dall Istituto ACS Marketing Solutions per Federalberghi, andranno in vacanza, dormendo almeno una notte fuori casa, 8,2 milioni di persone, contro i 9,5 milioni del 2012, di preferenza in casa di amici e parenti.

"I dati previsionali di Pasqua sono l'ennesima conferma di come l'Italia stia purtroppo vivendo una crisi epocale, che rischia di far tornare l'economia turistica ai livelli post Seconda Guerra Mondiale", commenta il presidente di Federalberghi, Bernabo' Bocca.

Il sondaggio mostra un sorpasso storico delle case di parenti e amici (scelte dal 28,1% del campione) rispetto alle strutture alberghiere (preferite dal 27,6%). Le presenze in hotel calano dello 0,8% mentre aumentano quelle in B&B (dal 2al 6,1%); in flessione anche l'agriturismo (-1%).

La spesa media pro-capite (comprensiva di trasporti, cibo, alloggio e divertimenti) si attestera' sui 317 euro rispetto ai 329 del 2012 (con un calo del 3,6%) generando un giro d'affari di 2,59 miliardi (rispetto ai 3,13 miliardi del 2012) per un decremento del 17%. L'88% di chi andra' in vacanza restera' in Italia, mentre il 12% all'estero.

Chi restera' in Italia spendera' in media 272 euro (rispetto ai 288 del 2012), mentre chi andra' oltreconfine spendera' una media di 631 euro a persona (rispetto ai 682 del 2012). La durata media, infine, della vacanza si attestera' sulle 3,2 notti rispetto alle 3,5 notti del 2012.

Gli italiani che non faranno nemmeno un giorno di vacanza a Pasqua sono circa 52 milioni (rispetto ai 51 milioni del 2012). Di questi, il 45,2%, pari a oltre 23 milioni ha dichiarato di non potersi permettere una vacanza per "mancanza di soldi".

"La perdita di oltre il 14% di italiani che partiranno per Pasqua (rispetto a Pasqua del 2012) - fa notare Bocca- e il parallelo decremento del 17% del giro d'affari, costituiscono due percentuali senza precedenti per una ricorrenza tanto importante per un Paese cattolico.

"E non puo' essere una scusante credere che la Pasqua celebrata a fine marzo possa influire sui consumi turistici -aggiunge il presidente degli albergatori italiani- in quanto dalla nostra indagine risulta come addirittura il 45,2% di chi dichiara che non fara' vacanze indichi nei motivi economici tale scelta. A questo punto e' indispensabile che Governo, Parlamento e sindacati provino a ragionare con le imprese a un piano di emergenza per salvaguardare i lavoratori e le aziende del settore se non vogliamo che nel giro di pochi mesi alcune migliaia di alberghi e centomila dipendenti cessino la propria attivita', privando l'economia nazionale di una delle poche attivita' in grado da sola di condizionare lo sviluppo del Paese".

Fonte

Ci mancava solo la lottizzazione dei saggi al governo



RomaTre Pd, due Pdl, un montiano, con quattro tecnici. Giuristi, avvocati, professori. Sono i saggi «lottizzati», scelti dal presidente della Repubblica per definire le priorità del Paese e un programma comune per i partiti ancora in stallo. Due gruppi: gli istituzionali e gli economisti. Fuori il Movimento Cinque Stelle. Saggi e grillini sono due parole che evidentemente non possono stare insieme per Napolitano.
La soluzione pensata dal capo dello Stato nell'ultima notte disponibile prima di cadere nel baratro di una Pasqua senza barlumi di idee prevede così di consegnare nelle mani di dieci persone i fili delle impossibili trattative tra le forze e politiche. Tutti uomini, nessuna donna, manca il contributo femminile. Dieci uomini del presidente. Al loro referente dovranno rispondere in tempi si spera rapidi, e con piani condivisi.
La saggia spartizione vede così da oggi, al lavoro fianco a fianco, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante, Mario Mauro e Valerio Onida, per citare i quattro moschettieri impegnati sul fronte istituzionale. Tra i sei economici, non c'è una divisione politica così netta, ma più sfumata, per aree di contiguità. Con due parlamentari. Questo tavolo fino agli ultimi minuti sembrava dovesse essere guidato dal presidente della Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni. C'è un saggio di via Nazionale nel gruppo economico, ma è Salvatore Rossi, componente del direttorio. Lo affiancano lo statistico Enrico Giovannini, direttore dell'Istat, il cui nome era addirittura circolato, tra gli altri, come possibile premier traghettatore, e Giovanni Pitruzzella, presidente dell'Antitrust, successore di Antonio Catricalà, chiamato nel governo da Monti. Non senza polemiche: Italia dei valori e Sel, in particolare, avevano criticato il nuovo nominato, vicinissimo «al presidente del Senato Renato Schifani». Ma a ben vedere il Pd non aveva protestato affatto. Infine, il quarto tecnico è il ministro montiano degli Affari europei, già giudice della Corte di giustizia europea, Enzo Moavero. Ai professori si aggiungono due eletti: Giancarlo Giorgetti, anima economica della Lega, l'uomo del retropalco, molto accreditato anche al di fuori del partito, e il senatore Filippo Bubbico, del Pd, i due presidenti delle commissioni speciali di Camera e al Senato.
Tornando agli istituzionali, per il Pdl c'è dunque l'ex vice capogruppo al Senato Quagliariello. Professore di Storia dei partiti politici alla Luiss e fondatore della Fondazione Magna Carta, Quagliariello è da sempre una delle voci più dialoganti e moderate del Pdl. Gli farà da contraltare l'ex presidente della Camera e della Commissione antimafia Luciano Violante, già giudice e giurista, da sempre aperto al confronto, soprattutto nella sua materia, con il centrodestra. Dalle ultime elezioni è invece montiano e centrista l'ex Pdl Mario Mauro, senatore con Scelta civica, che arriva da una lunghissima esperienza al Parlamento europeo, di cui è stato vicepresidente. Il secondo saggio di area di sinistra è Valerio Onida, ultimamente impegnato in politica con la candidatura alle primarie del Pd per l'elezione a sindaco di Milano. Ma soprattutto ex presidente della Corte costituzionale.
La scelta di Napolitano di nominare dieci uomini ha creato qualche polemica. La più rapida a cogliere l'anomalia è l'ex onorevole del Pd Paola Concia: «Il Parlamento con il più alto numero di donne nella storia accetta che ci siano solo uomini?». Ironica Alessandra Mussolini: «Quindi, in Italia non esistono donne sagge». «Manca clamorosamente - bacchetta la consigliera nazionale di Pari opportunità Alessandra Servidori - la presenza femminile».


Emanuaela Fontana

Fonte

Benvenuto a Giacomo Savino, nuovo "follower" di questo blog

 Giacomo Savino nuovo "follower" di Ladri d'Italia


Ciao Giacomo, piacere di averti fra noi. Come vedi, piano piano, il numero di persone che ragionano con il proprio cervello sta crescendo sempre di più. Questo blog , per quanto sia una goccia nell'oceano, piano piano sta conquistandosi un suo spazio nel mondo della controinformazione politica italiana e ne sono fiero. Se avrai qualche commento da inviare, qualche segnalazione particolare o qualche articolo da proporre non ti fare scrupolo di comunicarmelo!

Oliviero Mannucci

Tutto come prima. Anzi peggio



Tutto come prima. Chi ha vinto le elezioni si chiama Mario Draghi e la sua vittoria gli permetterà di gestire il Paese per altri 6 mesi con il pilota automatico permettamente operativo. Il pilota automatico di cui parlava Draghi non è altro che l'insieme delle norme previste dai trattati (Fiscal Compact) recentemente approvati e ratificati dal nostro Parlamento, che di fatto rendono operativo il rigore di bilancio in maniera permanente. Napolitano oggi lo ha chiarito senza troppi giri di parole, Mario Monti -ha detto Re Giorgio- è ancora in carica, e visto che c'è il semestre bianco lo sarà per altri mesi. Quanto basta per tenere i conti in ordine, per andare in Europa e rassicurare Berlino e tenere l'Italia sotto la scure della BCE. Meglio di così per banche e padroni non poteva andare: tenere in piedi un governo tecnico, che non può essere sfiduciato in quanto decaduto, ma che lavora per l'ordinaria amministrazione oliando il funzionamento del Fiscal Compact.
Così mentre Monti continuerà con la sua azione, i partiti in parlamento inizieranno una campagna elettorale che durerà a lungo promettendo paradisi artificiali al popolo del Gabibbo senza muovere un dito rispetto ai nodi di fondo. Per certi aspetti Napolitano ha fatto sue le proposte di Grillo dei giorni scorsi, "un parlamento può continuare ad operare senza un nuovo Governo" aveva detto il comico genovese, omettendo però che con questa proposta il vecchio Monti dimissionario resterà in carica fino a che non verrà votata la fiducia ad un nuovo Governo. Per tirare avanti in questa stuazione Napolitano nominerà due gruppi ristretti per continuare a lavorare per trovare un programma comune per fare le "riforme". Per quanti mesi ancora durerà tutto questo non è dato sapere, dato che dopo la fine del mandato di Giorgio Napolitano occorrerà eleggere un nuovo Presidente della Repubblica, che poi eventualmente scioglierà le camere e fisserà la data delle elezioni, che forse si terranno ad Ottobre. Intanto Bersani resta in silenzio e Renzi scalpita, Monti approva ed il Pdl esprime fiducia al Presidente. Nessuna forza politica parlamentare ad ora, ha fatto una proposta sensata sulla crisi e contro i trattati internazionali che ci hanno messo al collo il cappio dell'austerity. Il M5S grida all'inciucio, ma ad ora sta facendo la figura di dhi diceva di cambiare tutto ed alla fine è stato il miglior strumento per non cambiare niente.

Fonte

domenica 24 marzo 2013

Deciso per maggio il prelievo forzoso anche per l’Italia




Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, ha categoricamente smentito che una misura così drastica possa essere attuata fuori dai confini di Cipro, Paese per il quale un intervento del genere risulta invece "inevitabile".
Nonostante le rassicurazioni ufficiali, montano le polemiche. Ad accenderle ci ha pensato Jörg Kramer, capo economista di Commerzbank, che in un'intervista al quotidiano Handelsblatt ha suggerito di introdurre in Italia un prelievo forzoso di addirittura il 15% su depositi e titoli per azzerare il debito pubblico.
Il prelievo sarebbe un’operazione a garanzia del prestito che l’Ue erogherà all’Italia, Nelle stanze del Palazzo tutto parrebbe deciso: un prelievo forzoso a maggio dal 6,8 al 9, 9%. Lo Stato italiano incasserà 130 miliardi, proprio a cifra che il Paese dovrà versare al MES entro giugno.

Fonte

venerdì 22 marzo 2013

Attenzione: rapina statale ai cittadini legalizzata dalla BCE su ordine della Merkel


Quello che molti Blog e Siti hanno diffuso da parecchi mesi è diventata realtà, gli stati Europei in collaborazione con le Banche svaligiano i Giroconti dei cittadini del 9,9% e del 6,75%

banca rapina














Chi ha una somma che supera i 100.000 gli verrà tolto da subito il 9,9%, chi ha somme minori fino a 0 Euro gli verrà tolto il 6,75, i primi a farne le spese sono stati i cittadini Ciprioti subito dopo che la BCE su ordine della Merkel ha accordato un prestito che varia dai 10 ai 20 Miliardi di euro, in Grecia hanno cominciato la settimana scorsa ad essere più radicali, non hanno e non pagheranno le pensioni dei primi 18.000 pensionati che guarda caso hanno superato l’età dei 75 anni, altre azioni del genere sono state di già discusse e approvate al fine di eliminare altri pagamenti di pensioni, a quante persone non verrà pagata la pensione non è stato dato a sapere, i reservisti delle forze Speciali greche hanno manifestato contro queste decisioni e sono sul piede di guerra contro il loro governo, chi pensava che queste previsioni fossero delle minkiate di noi i soliti “Complottisti” dovrà ricredersi perché questa mossa fatta dal Governo Cipriota verrà applicata in Spagna, Portogallo e Italia.

Ciò significa che lo stato si impadronisce di quello che i cittadini hanno risparmiato una vita intera quando e come vuole, sempre con l’appoggio del parlamento UE e della BCE, il mister Monti era al corrente di tutto ciò, lo stesso volava fare in Italia già dal giorno in cui con un colpo di stato si Proclamò Presidente del consiglio, Napolitano stesso è un burattino nelle mani di Monti, firma tutto quello che il suo padrone gli mette davanti.

Bene, sappiate che i vostri soldi non appartengono più a voi, ma a questo Governo Monti, ladro e infame, adesso sapete pure dove si vuole arrivare se non lo avete capito, vogliono una guerra civile in tutti gli stati della UE per poi fare i loro porci comodi con massacri e genocidi di massa, nell’ultimo articolo postato scrivevo delle decisioni che i Criminali della Trilaterale hanno portato nella loro agenda a Berlino per il 2013, non mancherà la solita scusa della Merkel che assieme a mostriciattolo in sedia a rotelle dirà ai cittadini Tedeschi incazzati di brutto, perché sanno cosa vuol dire questa decisione presa dalla Merkel e dalla BCE, odio verso i cittadini Tedeschi da parte di alcuni stati facenti parte della UE, la Merkel stà facendo di tutto per distrarre l’opinione pubblica Europea, dopo che qualcuno ha deciso di mettere alla luce il suo passato da “Erika” nella Stasi.

Immaginatevi cosa succederà lunedì davanti alle Banche quando i cittadini si saranno riversati ai sportelli per ritirare i loro risparmi che non sono più al sicuro e con la paura che gli vengano “sequestrati” dallo stato per accertamenti, il tutto “per assicurare ai cittadini Tedeschi un futuro dignitoso” come vuole la Merkel che in fin dei conti li vuole massacrare per riempire le casse dei suoi amichetti della Bertelsman e del Ponte Atlantico formato da Sionisti con Origini Polacche come lei, quindi come previsto ormai è tutto possibile, anche una nuova guerra tra stati Europei come aveva minacciato Sarkozy e poco tempo fa anche quel criminale di Jan Claude Juncker, lo hanno programmato e lo stanno portando a termine, questo grazie a chi non ha voluto credere a quello che abbiamo diffuso per mesi e  anni.

Le nuove decisioni che quel demente di Obama ha preso dopo l’assassinio di Chavez sono la parte opposta di quello che ha voluto far credere, mentre gli stati Europei si scanneranno tra di loro, l’America e Israele cercheranno di fare piazza pulita in medio Oriente, prima la Siria e subito dopo l’Iran, diffidate da chiunque cerca di screditare queste notizie, si trovano nell’Agenda dei Bilderberg, della Trilaterale e del Parlamento UE sotto il diretto controllo dei Rothschild.

Belli Corrado

Fonte

giovedì 21 marzo 2013

Commerzbank: "Patrimoniale del 15% sui conti correnti italiani"



A Cipro le banche resteranno chiuse fino a giovedì: sugli istituti aleggia lo spettro del prelievo forzoso sui conti correnti. Giù le saracinesche, dunque, per evitare che tutta la liquidità dei correntisti venga prelevata. Il panico, nel frattempo, contagia i Paesi europei. Le Borse in apertura tracollano, per poi limare le perdite nel corso di un convulso pomeriggio. Ma il panico, in Italia, non è dovuto soltanto all'onda lunga di Cipro (l'Abi, associazione banche italiane, per inciso ha fatto sapere che la crisi di Cipro non costituisce "pericolo di contagio per le banche italiane"). A diffondere timori nel Belpaese è la "ricetta" proposta dalla seconda banca tedesca, Commerzbank. Una ricetta da paura.
Teutonica follia - Il capo economista dell'istituto di Berlino, Jorg Kramer, sulle pagine del quotidiano finanziario Handelsblatt spiega: "I patrimoni finanziari degli italiani corrispondono al 173% del Pil. Sono molto superiori ai patrimoni dei tedeschi che corrispondono al 124 per cento. Per questo sarebbe utile applicare in Italia una patrimoniale. Una tassa del 15% sui patrimoni basterebbe ad abbassare il debito pubblico italiano sotto la soglia critica del 100% del Pil". Facile, secondo i tedeschi: per risolvere i problemi dell'euro dobbiamo essere ridotti in miseria con un prelievo forzoso del 15 per cento. Una roba che farebbe trasalire anche Giuliano Amato, il grande artefice del più recente prelievo forzoso sui conti italiani, che però nel 1992 fu dello 0,6 per cento.
Ma non basta... - Inoltre, secondo Commerzbank, è necessaria un'imposta sulle attività finanziarie una tantum, su depositi e titoli, "volta ad abbattere sensibilmente il debito pubblico ma che andrebbe a impattare, di fatto, come un prelievo forzoso. Anche più a fondo - aggiunge Kramer - perché andrebbe a colpire tutte le forme di risparmio, comprese le azioni e le obbligazioni". Una ricetta terribile, ma che quanto sta accadendo a Cipro rende più plausibile. Ad alzare il livello dell'allarme, inoltre, contribuiscono i "big" Morgan Stanley e Goldman Sachs, che oggi, lunedì 19 febbraio, hanno messo in guardia sul precedente che il caso cipriota rischia di rappresentare anche per gli altri Paese in crisi nell'Eurozona".

Fonte

domenica 17 marzo 2013

Grillo: Pd impresentabile, governo breve M5S spaccato, i grillini sfidano il leader Vacciano ammette: ho votato Grasso



ROMA - «Il Pd ha giocato l'unica carta rimasta, quella della "foglia di fico", visto che Franceschini e la Finocchiaro erano indigeribili» scrive oggi Beppe Grillo sul proprio blog in un post dal titolo "D'Alema presidente della Repubblica?". Il tutto all'indomani delle polemiche che hanno spaccato il M5S sul voto per la presidenza del Senato che ha visto prevalere Grasso anche grazie ai voti dei grillini. Il leader del movimento, ieri aveva invitato alle dimissioni quei senatori del M5S che al Senato, a suo dire, non hanno rispettato il «codice di comportamento degli eletti».

Grillo: Pd impresentabile. «Sanno di essere impresentabili - scrive oggi Grillo sul proprio blog riferendosi al Pd - e quindi devono presentare sempre qualcun altro. Per loro ci vuole del conservatorismo compassionevole. Le cariche alla Camera e al Senato sono archiviate, dureranno lo spazio di una legislatura che si annuncia breve. Il pdmenoelle ha giocato l'unica carta che gli è rimasta, quella della "foglia di fico". Franceschini e la Finocchiaro erano indigeribili per chiunque, anche per gli iscritti. Boldrini e Grasso continuano così la linea già tracciata da Doria e Ambrosoli. È fantastico! I parlamentari del pdmenoelle non riescono a esprimere un loro candidato. Non si fidano di sè stessi, soprattutto di sè stessi. Sanno di essere impresentabili e quindi devono presentare sempre qualcun altro. Per loro ci vuole un po' di conservatorismo compassionevole».

«D'Alema al Quirinale? No a sette anni di inciucio». «Ora c'è l'elezione del nuovo Capo dello Stato che è fondamentale per il futuro dell'Italia: il presidente della Repubblica rimane infatti in carica per sette anni (travalica le legislature) con poteri da monarca. Il candidato di pdl e di parte (gran parte?) del pdmenoelle è Massimo D'Alema. Non è ufficiale e nemmeno ufficioso, ma è molto plausibile. Non ci credete? Non ci credevo neppure io. Super Maxpoteri a D'Alema? L'articolo 87 della Costituzione dà al presidente il comando delle Forze armate, di presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura (anche da articolo 104), di concedere la grazia e di commutare le pene. L'articolo 88 gli consente di sciogliere le Camere. Grazie all'articolo 90 non è responsabile di atti compiuti durante le sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione. Può eleggere cinque senatori a vita e alterare la volontà delle urne. Per l'articolo 92 nomina il presidente del Consiglio. In virtù dell'articolo 126 può sciogliere il Consiglio regionale e rimuovere il Presidente della Giunta. Può inoltre nominare un terzo della Corte Costituzionale (articolo 135). Infine, per l'articolo 278 a norma di codice penale è comparabile a un'entità ultraterrena "Chiunque offenda l'onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque ann". La candidatura di D'Alema sarebbe irricevibile dall'opinione pubblica. Un fiammifero in un pagliaio. Il Paese non reggerebbe a sette anni di inciucio. Un passo indietro preventivo e una smentita, anche indignata per le "voci infondate", sarebbero graditi».

Molinari: meno reazioni isteriche e più fiducia. «Meno reazioni isteriche e più fiducia!»: è questo il messaggio che Francesco Molinari, senatore del M5S lancia da Facebook a Beppe Grillo. «Leggo stamattina il post sul blog di Grillo sul voto di ieri al Senato - scrive - Mi sento di dirgli di stare sereno, non c'è nessun traditore Il M5S al Senato è unito: nessuna alleanza nessuna fiducia. Solo un consiglio a chi ha scritto il post. Studiare le differenze fra Cariche Istituzionali e Ruoli politici non farebbe male».

Di Battista: Grillo non è dittatoriale, sulle regole ha ragione. «Definire "esempio dittatoriale" il post nel quale Beppe in modo duro (giustamente) invita al rispetto di alcune regole che abbiamo accettato liberamente è una stronzata megagalattica (scusate il turpiloquio ma a volte solo certe parole rendono l'idea)». Lo scrive su Facebook il deputato del M5S Alessandro Di Battista, a proposito della richiesta di Grillo di "trarre le dovute conseguenze" a chi ieri ha votato Grasso al Senato. «Le regole del codice comportamentale io le ho accettate perché le condivido, non per rimediare una poltrona - sottolinea Di Battista - Si può discutere sulle scelte che vengono prese, per carità (per questo rispetto il pianto dei nostri senatori, per me un pianto bellissimo) ma quel che non si può discutere nel 5 stelle è la sovranità popolare. Noi siamo portavoce e basta e i cittadini devono conoscere per filo e per segno quel che succede nelle Istituzioni. È vero, umanamente c'è differenza tra Grasso e Schifani (per lo meno per me c'è) ma c'è molta più differenza tra quel che vogliamo costruire con questo meraviglioso progetto a 5 stelle e quello che invece costruiremo se non verranno rispettate le regole e se ragioneremo con la logica del 'meno peggiò. Vi invito sempre a ragionare per processi a lunga gittata e non soltanto per scelte giornaliere. Abbiamo la possibilità di cambiare il mondo ma occorre coraggio e occorre non sottostare ai ricatti dell'emergenza (alla lunga tutte le scelte "emergenziali" si dimostrano errate perchè tolgono energia alla battaglie di sistema). Errori ne faremo, siamo umani (lo siete anche voi) quindi d'accordo, "siate duri, ma senza perdere la tenerezza"».

L'ammissione di Vacciano

«Lunedì e martedì sarò a Roma per discutere l'opportunità delle mie dimissioni». Lo scrive su Facebook Giuseppe Vacciano, senatore del M5S, che dichiara di aver votato Pietro Grasso, contravvenendo alle indicazioni del gruppo. «Se si cercano i colpevoli di 'alto tradimento ai principi del M5S', ecco, uno l'avete trovato».

Fonte

Sangue italiano: per l’euro, ci hanno rubato 600 miliardi

In media, fin dal lontano 1992, spariscono dalla circolazione circa 30 miliardi di euro all’anno, necessari a sostenere gli impegni di Maastricht. Sono andati alle banche, straniere e italiane. Una voragine: negli ultimi vent’anni, gli italiani hanno versato 620 miliardi di tasse superiori all’ammontare della spesa dello Stato. Ovvero: 620 miliardi di “avanzo primario”, il saldo attivo benedetto da tutti gli economisti mainstream e dai loro politici di riferimento, i gestori della crisi e i becchini della catastrofe nazionale che si va spalancando giorno per giorno, davanti ai nostri occhi: paura, disoccupazione, precarietà, aziende che chiudono, licenziamenti, servizi vitali tagliati. L’obiettivo di tanto sadismo? Entrare nei parametri di Maastricht e stare dentro l’Eurozona. Ma, nonostante l’immane sforzo, il debito pubblico non ha fatto che crescere, passando da 958 milioni a 2 miliardi di euro.
La realtà, scrive Pier Paolo Flammini su “Riviera Oggi”, è che tutto questo serve perché «lo scopo del debito pubblico non è di garantire la spesa

 Draghi e Ciampi
pubblica, ma di fornire investimenti sicuri». Lo scrive chiaramente, sul “Financial Times”, la Bank of International Settlements, cioè la super-banca delle banche centrali. Ormai l’obiettivo dello Stato non è più il benessere della comunità nazionale, ma l’impegno a fornire titoli sicuri ai grandi investitori. Nell’Eurozona, aggiunge Flammini, l’Italia è stato il paese più penalizzato dai vincoli di bilancio. Fino al 2007, prima della “grande recessione”, erano stati destinati alla riduzione del debito pubblico 270 miliardi di euro, per portare la percentuale debito-Pil dal 121,8% del 1994 al 103,6% del 2007. In pratica, 20 miliardi di euro all’anno sottratti alla circolazione privata per 13 anni. «Ora, il problema è che la contrazione del debito pubblico in rapporto al Pil, con una moneta straniera quale l’euro, deve essere pagata dai cittadini con tasse e tagli alla spesa».
Oltre ai 270 miliardi della prima, storica emorragia, altri 350 miliardi sono semplicemente stati bruciati per il pagamento degli interessi sul debito. E quando poi le cose sono cambiate a causa del crac finanziario, il castello è saltato. Mario Monti, Olli Rehn e Angela Merkel, continua Flammini, hanno esibito la stessa identica ricetta per vincere la sfida col debito pubblico: e cioè meno spesa, tasse invariate o aumentate, riduzione di salari e stipendi, esportazioni privilegiate e riduzione dei consumi interni. E’ «la via del Bangladesh», osserva Flammini: «L’evidenza li ha sconfitti, ma non molleranno». Anche perché – permanendo l’euro e i suoi drammatici vincoli – non esiste alternativa. «E non ci sarà neppure per il prossimo governo che li accetterà: il debito pubblico, da saldo contabile, è diventato lo strumento

 Olli Rehn

attraverso il quale sottrarre potere a masse di popolazione sottoposte a shock informativi ed economici. Punto».
Nel 1980, nonostante l’inflazione indotta dal prezzo del petrolio (quadruplicato), l’italiano medio risparmiava il 25% del proprio reddito, e così fino al 1991. Gli operai compravano case anche per i figli, le famiglie facevano vacanze di un mese. Oggi, osserva Flammini, con le regole dell’austerità, abbiamo un’inflazione del 3% ma gli stipendi salgono solo dell’1,5%, il mercato immobiliare è fermo, il risparmio è crollato al 6% e le famiglie, in appena dieci anni, hanno aumentato i loro debiti del 140%. «Quasi tutti ormai intaccano i risparmi di una vita, o sono sul punto di giocarsi i 9.000 miliardi di euro di risparmio privato nazionale, la ricchezza sulla quale sono puntate le fauci delle corporation internazionali che tengono in pugno i finti leader politici italiani», mentre sui media ha tenuto banco anche la retorica sull’Imu, che in fondo pesa appena 4 miliardi di euro.
Nel 1978, aggiunge Flammini, sarebbe stata la Banca Centrale, esclusiva monopolista della moneta, a fissare il tasso di interesse e bloccare l’espansione del deficit negativo, quello per gli interessi. «Ed è quello che dobbiamo chiedere a gran voce, subito: inutile chiederlo alla Bce. Vogliamo tornare al denaro sudato con il lavoro e garantito dall’ingegno, e non dalla pura speculazione», sapendo che «il tasso naturale di interesse è zero». Chi ci ha guadagnato, dalla inaudita tosatura degli italiani? Quei 620 miliardi “rubati” ai contribuenti sono andati per il 43% all’estero, 250 miliardi finiti in banche straniere. Solo il 3,7% è andato a Bankitalia, mentre il 26,8% ad istituzioni finanziarie italiane, banche e assicurazioni, e infine il 13%, circa

 eurotower

80 miliardi, sono tornati direttamente nella disponibilità di privati cittadini italiani, ovviamente per lo più delle classi medio-alte.
«Siamo abituati ad ascoltare parole come “la corruzione ci costa 60 miliardi”, “l’evasione fiscale ci costa 120 miliardi”. In realtà – protesta Flammini – per quanto disdicevoli e da perseguire legalmente, queste voci (i cui importi sono poi da verificare) rappresentano una partita di giro interna con vinti e vincitori», mentre i 620 miliardi di avanzo di bilancio 1992-2012 sono frutto di una precisa scelta politica: «Sono soldi sottratti veramente ai cittadini e scomparsi dalla circolazione dell’economia vera per garantire la grande finanza». Aver trasformato il debito pubblico da puro dato contabile a cappio reale attorno al collo della società italiana, aggiunge Flammini, è la


 Flammini

più grande responsabilità della classe politica dell’ultimo trentennio. «Nessuno, però, sta chiedendo scusa».
Basti leggere quel che Tommaso Padoa Schioppa scriveva sul “Corriere”: occorre «attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere». E quello sarebbe stato un ministro del centrosinistra? «Ecco perché non vincono mai». Ma il peggio deve ancora venire, grazie agli impegni micidiali sottoscritti dal governo Monti a beneficio di Draghi, «garante del pagamento degli interessi degli italiani». Col pareggio di bilancio inserito addirittura nella Costituzione, i circa 30 miliardi annui fin qui pagati dagli italiani saliranno a circa 90, per coprire del tutto la spesa per interessi. E con il Fiscal Compact, il salasso salirà ancora, dal 2015, fino a 140 miliardi – sempre per abbattere il debito. Come farcela? «Con l’Iva al 23%, l’inflazione al 2%, una trentina di miliardi di tagli e altrettanti di dismissioni del patrimonio pubblico. Se poi si è poveri, chi se ne frega».

Fonte

mercoledì 13 marzo 2013

Appello di Paola Musu: sovranità monetaria o sara' guerra civile



L’Italia sta morendo, l’urlo prima sordo, ora disperato e sempre più forte, percorre oramai tutta la penisola.
Il tradimento della consegna della sovranità del paese in mano di “ soggetti non democratici, non trasparenti, non responsabili, banche d’affari multinazionali, shadow banks, hedge funds, agenzie di rating, fondi sovrani, organismi internazionali di regolazione non governativi…”(Bassanini),continua a sommarsi all’inerzia della politica, unica responsabile di questa consegna e oramai ulteriormente responsabile di questa condotta inesorabilmente distruttiva.
Negli ultimi mesi, parecchi giovani, animati solo da un puro idealismo e molta buona volontà, in molte regioni d’Italia ed anche fuori da quella che un tempo era culla ideale e fucina di studio, ossia l’università, oramai tristemente svuotata anche di contenuti, hanno iniziato ad analizzare e diffondere i meccanismi di funzionamento della moneta, radunando gruppi di poche decine di persone, imprenditori, persone comuni, chiunque fosse interessato. Tutta questa gente, ora, è perfettamente consapevole delle cause del disastro economico cui si assiste impotenti. Queste persone sanno che la politica e i suoi protagonisti hanno permesso tutto questo con dei precisi atti di consegna del paese nelle mani della finanza privata, ma sono anche consapevoli dell’illegittimità di quegli atti. Sanno anche, che la soluzione a tutto ciò deve essere politica e ai politici chiedono disperatamente di intervenire, pretendono risposte, nella piena consapevolezza di averne il più ampio diritto. Chiedono alla politica di essere in grado di esprimere persone capaci di scelte coraggiose, ma giuste, benché fatte in aperto contrasto al delirio neoliberista dominante, seppur decadente.



Tutte queste persone, oramai, sanno perfettamente che qualunque promessa in termini di sviluppo dell’occupazione e di crescita è impossibile e vuota alle condizioni attuali, senza il recupero della propria moneta.
La ratio più profonda dell’economia sta nel suo essere funzionale alla vita ed al benessere di una nazione. Le scelte che attengono la vita di uno Stato attengono per definizione la “politica” e la “politica” è affare di Stato, attiene la res publica, non la res privata. In questo contesto la creazione di moneta, dato il ruolo fondamentale che la stessa riveste nell’economia, non può né essere priva di controllo alcuno, né, tantomeno, può essere consegnata in mano di privati, come è attualmente, per di più con l’ulteriore aggravante di poter diventare la nuova arma di “aggressione” tra Stati, proprio all’interno di un’area nata, nella sua proclamazione ideale, proprio per ostracizzare ogni forma di aggressione.
Il recupero di una moneta nazionale  è un  “dovere”, che assume anche una connotazione di obbligo morale laddove si assiste allo sconcertante fallimento di questo “esperimento”, a dir poco disastroso, dell’euro.
L’esperienza della Grecia, e delle condizioni di vita in cui continua ad essere sprofondata la popolazione, così come il caso della Spagna e del Portogallo, di Cipro ed oramai anche dell’Italia, è inaccettabile per delle nazioni che pretendono di definirsi “civili”.
L’euro è un tragico miraggio, una sgangherata utopia. Essa reca in sè tutte le tragedie della fede neoliberista, elevata al livello di dottrina di portata universale, imposta al mondo intero, e considerata, all’alba del XIX secolo, il pilastro per una nuova epoca d’oro, in cui l’intervento dello Stato nell’economia diventa il “demone” da neutralizzare ed i mercati, totalmente liberi e fuori da ogni controllo, con l’eliminazione di qualsiasi ostacolo ai liberi movimenti di merci, servizi e capitali, il totem da divinizzare.
Questo folle progetto è stato spinto oltre misura, passando sopra anche alle più elementari considerazioni date dall’evidente impossibilità di poter gestire, senza provocare danni, l’imposizione di un’unica unità di conto (moneta), forzando un’unificazione tra dei paesi che sono e rimarranno sempre distinti. Ed a sancire questo è la storia, è il principio di autodeterminazione dei popoli, universalmente riconosciuto, sono gli inevitabili controbilanciamenti che si creano in un’area vasta, come quella creata in Europa, che la stessa storia, anche economica, ci insegna, per cui il vantaggio di alcune parti della stessa deriva e non può sussistere se non in forza dello svantaggio di altre. Per cui se la Grecia si trova nella ben nota situazione di disagio, non è, in realtà, a causa della mala gestio dei suoi governanti, ma dei crescenti ed inevitabili disavanzi delle partite correnti (eccesso di importazioni sulle esportazioni) che hanno interessato, oltre la Grecia, anche gli altri paesi periferici, come l’Italia.
La creazione di moneta deve essere di competenza dello Stato e dello Stato soltanto. Lasciando il dettaglio ad altra sede, “con questo sistema non sarebbe creata altra moneta eccettuata quella della Banca Centrale ed il reddito da signoraggio, proveniente dalla creazione di moneta da parte della Banca Centrale, sarebbe restituito allo Stato ed esso stesso permetterebbe nelle condizioni attuali di abolire la quasi totalità delle imposte progressive sul reddito” (M.Allais, Premio Nobel all’Economia).
Questa, unitamente alla riforma del sistema bancario, con la netta distinzione tra banche commerciali e banche di investimento, la rinazionalizzazione della Banca d’Italia ed il suo stretto collegamento con il Tesoro, è la chiave di volta ed il nuovo punto di partenza per il risanamento e la ricostruzione del nostro paese. Occorre riprendere il controllo delle funzioni essenziali dello Stato, ridefinendo, nel contempo, i rapporti economici con gli altri paesi europei, salvaguardando quegli aspetti positivi dell’esperienza europea legati al mercato unico (libera circolazione di merci, persone, capitali). Solo allora si potranno reimpostare serie politiche di crescita e benessere dei cittadini, incluso il rinnovato sviluppo della ricerca, dell’arte e della cultura.
Tutto ciò, ricordando, semplicemente, che la defezione anche di un solo paese, in Europa, costringerebbe tutti gli altri alla ridefinizione dei reciproci rapporti. E la certezza di ciò, non può essere inferiore all’arroganza di chi ha provocato lo scempio cui stiamo assistendo, anche in termini umani.
L’alternativa sarebbe una rapida ed imminente spirale del debito sempre più vorticosa, che rischierebbe, a breve, di gettare il Paese in una guerra civile.
C’è un intero popolo che grida aiuto! Non può più essere ignorato. La politica abbia il coraggio di riscattare se stessa davanti ai cittadini e davanti alla storia. Lo chiede l’Italia, lo chiede la sua storia, lo chiedono i suoi martiri.

Paola Musu
http://campagnadisobbedienzaciviledimassa.blogspot.it/

martedì 12 marzo 2013

LO STATO NON PAGA I PROPRI FORNITORI, LE IMPRESE CHIUDONO, AUMENTA LA DISOCCUPAZIONE, IL PIL DIMINUISCE




Sul CORRIERE DELLA SERA un dossier allarmante fa il punto sui debiti dello Stato con le imprese che avrebbero superato quota 150 miliardi di euro. “A volte l'incoerenza paga o per lo meno aiuta a non pagare. L'amministrazione pubblica che ha prodotto il Redditometro e le ganasce fiscali applica a se stessa criteri di trasparenza e puntualità diversi da quelli che a giusto titolo impone ai cittadini. Non si tratta solo del ritardo nei pagamenti dovuti alle imprese fornitrici o ad altre articolazioni dello Stato. Si tratta, in primo luogo, dell'assenza di alcune delle informazioni di base indispensabili a un'economia avanzata. Ad oggi non esistono dati recenti sui debiti commerciali dello Stato. Si tratta di quei debiti espressi non in buoni del Tesoro, ma in fatture da saldare alle imprese fornitrici di beni e servizi alle amministrazioni pubbliche. Dell'ammontare di questi debiti non si sa nulla per quando riguarda il 2012, e al momento la stessa nebbia grava anche sul 2011. Quanto al 2010 (un'era geologica fa), i soli dati disponibili riguardano gli enti decentrati: Comuni, Province e Regioni. Ma per l'amministrazione centrale, è buio fitto. Non è mai stata presentata una tabella su quanto il Tesoro e gli altri ministeri devono ai fornitori o ad altri rami del settore pubblico. Se lo fosse, se i dati venissero aggiornati, si vedrebbe che i debiti commerciali lordi dello Stato superano il 10% del Pil: più di 150 miliardi di euro, oltre il doppio dei 70 miliardi dei quali si parla nel dibattito politico. Emanuele Padovani, professore di Public Management all'Università di Bologna, per conto del gruppo di consulenza Van Dijk ha stimato che a fine 2010 gli oneri delle Regioni verso i fornitori erano a 68,8 miliardi, quelli dei Comuni a 48,4 e quelli delle Province a 19,6. Fa 136,9 miliardi di euro, circa il 9% del Pil. Due dei comuni nei quali il debito pubblico per abitante è più alto sono Torino e Milano (vedi grafico). Ma non finisce qui. Tra circa dieci giorni, con ritardo di due anni, verranno resi anche i valori per il 2011 e, salvo sorprese, i debiti non finanziari degli enti locali dovrebbero essere cresciuti per almeno altri 15 miliardi. Un ulteriore capitolo dell'esposizione finanziaria dello Stato, sottolinea Emanuele Padovani, riguarda poi la quota di debito delle aziende partecipate dagli enti locali. È una galassia fra le quattromila e le seimila partecipate dirette da Comuni, Province e Regioni, che salgono a dodicimila se si aggiungono le aziende che queste controllano (alcune domiciliate in Paesi inseriti nella ‘lista nera’ dei paradisi fiscali). Molte delle partecipate hanno forti esposizioni, prima fra tutte la romana Acea. Solo per le aziende controllate da un singolo ente pubblico, stima Padovani, il debito che spetta pro quota ai Comuni o alle Regioni vale circa altri sette miliardi di euro (circa lo 0,5% del Pil). Resta poi lo Stato centrale e con ciò che deve pagare ai fornitori: l'aspetto sul quale la nebbia è più fitta. La gestione dell'amministrazione scolastica e alcune delle spese di Consip, l'agenzia per l'acquisto di beni e servizi per lo Stato, fanno pensare che le cifre siano rilevanti. Anche se resta indeterminato, l'ammontare di questi debiti fa sì che l'esposizione commerciale dei vari rami dello Stato con ogni probabilità superi nettamente il 10% del Pil. Buona parte dell'asfissia finanziaria delle imprese viene da qui: i crediti non saldati privano le aziende dei mezzi per pagare gli stipendi o i loro stessi fornitori, per fare gli investimenti necessari e favorire la ripresa. Non aiutano certe abitudini ai limiti della correttezza, o ben oltre. Di norma nella fatturazione lo Stato non specifica la data di scadenza dei debiti contratti per investimenti, una pratica scorretta ma non illegale; decisamente contro la legge, ma ricorrente, è invece la stessa pratica nelle fatture per la spesa corrente. Molte banche private se ne sono rese conto quando certi imprenditori hanno cercato di far valere i loro crediti certificati per ottenere liquidità: poiché mancava la data d'incasso sui loro crediti, non hanno avuto successo. Di fronte a queste cifre, le opzioni aperte non sono molte. Pagare le imprese emettendo nuovi Btp, quando gli oneri commerciali viaggiano oltre il 10% del Pil, può far salire il debito pubblico a livelli inaccettabili per il mercato. Resta una possibilità: la Cassa depositi e prestiti, che formalmente è fuori dal bilancio dello Stato, può riacquistare i crediti dalle imprese per poi farsi pagare dall'amministrazione. Lo sta già facendo: Sace, controllata dalla Cdp, ha già riassorbito i crediti per 4 miliardi vantati dalle piccole aziende ad Arezzo, nelle Marche o in Liguria. Poco più di una goccia nel ‘credit crunch’, per ora. Ma forse non c'è altra strada per riuscire in questa traversata del deserto".

Fonte

Commento di Oliviero Mannucci: Che schifo questa Italia!  Non basta una pressione fiscale reale sulle imprese del 75% che lo scorso anno ha fatto chiudere più di 300 000 imprese, non bastano  i più di cento adempimenti burocratici ai quali ogni azienda deve fare fronte gni anno per poter operare, non basta che le banche non erogano prestiti alle imprese, non basta la spirale recessiva indotta dai provvedimenti scellerati del governo Monti, non basta un sistema basato sulle regalie che ogni azienda deve fare ai vari funzionari dell'amministrazione pubblica per poter lavorare, non basta la mafia a cui molte aziende devono in qualche modo sottostare, adesso c'è anche lo Stato italiano che non VUOLE pagare i suoi fornitori. E così molte altre imprese saranno costrette a chiudere non perchè hanno iun bilancio in passivo, ma perchè vantano crediti verso la Pubblica Amministrazione. Che schifo! Ecco poi perchè l'unica impresa sempre in attivo è quella che riguarda  i partiti politici! SONO CONTENTO DI NON AVER VOTATO PER NESSUNO, SONO TUTTI UNA MASSA DI LADRI!

E i grillini litigano sugli 11mila euro di stipendio

Il dibattito interno di ieri sulle indennità: "Cambiamo" 

E i grillini litigano sugli 11mila euro di stipendio

 

Il MoVimento 5 Stelle litiga sugli stipendi e sui compensi degli onorevoli. A causa di un regolamento forse scritto in modo affrettato e senza conoscere bene l’ammontare degli emolumenti, dopo una campagna elettorale in cui hanno parlato di guadagnare solo 2500 euro si ritrovano, con rimborsi e il resto, con 11mila euro al mese. E, molto onestamente, alcuni di loro hanno posto il problema durante l’assemblea di ieri:
«Siamo arrivati in Parlamento dicendo che avremmo preso 2500 euro al mese e invece ora stiamo discutendo se tra rimborsi e tutto il resto prenderne 11mila». Bisogna tagliare ancora, dicono in molti. «Rendicontare tutte le spese e metterle on line». Una parlamentare siciliana avvisa: «In Sicilia hanno fatto un errore e restituito più di quello che dovevano, ci stanno rimettendo». E un’altra: «Dobbiamo prendere il giusto, ma non fare i francescani, non vivere come universitari fuori sede nelle case tutti insieme».
Repubblica fa sapere come finisce la discussione:
Così, ogni decisione su quanto tagliare viene rinviata a un «gruppo indennità ». Nel regolamento messo on line da Grillo e Casaleggio c’è scritto che potranno prendere 2500 euro netti di stipendio base, più diaria e rimborsi vari. Si arriva a 11mila: «Diamo mandato ai gruppi di cambiare il regolamento »

Fonte

Commento di Oliviero Mannucci: Bene così.Che ora seguano i fatti !!!!!

lunedì 11 marzo 2013

L'ex ministro Tremonti indagato a Roma per finanziamento illecito



L'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti è indagato a Roma per finanziamento illecito di parlamentare in relazione alla ristrutturazione gratuita dell'appartamento di via del Campo Marzio, a pochi passi dal Parlamento, affittato dal deputato Pdl Marco Milanese e abitato, fino all'estate del 2011, dall'allora titolare del dicastero dell'Economia.
«Ho totale fiducia nella magistratura inquirente - ha detto Tremonti all'Ansa - che penso abbia dovuto agire nello sviluppo dell'attività istruttoria su Sogei. Sono naturalmente interessato a fornire ogni chiarimento».
L'iniziativa giudiziaria è del pm Paolo Ielo e la decisione dell'iscrizione nel registro degli indagati è stata anticipata dal tg di La7. Il caso prende spunto dagli accertamenti sugli appalti della Sogei, la società generale di informatica controllata dal ministero dell'Economia. Si tratta di uno dei filoni dell' inchiesta napoletana, finito nella capitale per competenza territoriale, sulla cosiddetta P4, partita dai controlli svolti sull'attività di Marco Milanese, ex consigliere politico di Tremonti.
Secondo il magistrato l'imprenditore Angelo Proietti, titolare della Edil Ars e autore di moltissimi lavori su immobili di proprietà del Vaticano e più volte prestatore d'opera per la Sogei (società interamente controllata dall'Economia) avrebbe pagato con fondi propri, tra il 2008 ed il 2009, i 250mila euro di lavori eseguiti nell'immobile di 200 metri quadrati di via del Campo Marzio per mettersi in buona luce nei confronti del ministro e per consolidare il legame con Milanese. Lo stesso Milanese aveva in Sogei un peso notevole in materia di nomine e di affidamento di appalti. Nell'inchiesta del pm Ielo sono indagati anche gli stessi Milanese e Proietti.
Il 28 febbraio scorso, peraltro, il pm Ielo ha chiesto di condannare Marco Milanese
a un anno di reclusione e a 10mila euro di ammenda, nel processo in cui il parlamentare del Pdl deve rispondere di finanziamento illecito in relazione alla compravendita di uno yacht. In quel processo il magistrato ha sollecitato in favore dell'imputato la concessione delle attenuanti generiche e la sospensione della pena. Il giudice monocratico Roberta Di Gioia, ascoltate le repliche dei legali di Milanese, ha rinviato al 28 marzo prossimo per la sentenza.
Il caso dell'appartamento di via Campo Marzio era esploso nel luglio del 2011, in seguito alle indagini condotte dalla magistratura di Napoli nell'ambito dell'inchiesta sulla P4. Nella memoria difensiva presentata alla Giunta di Montecitorio il deputato aveva sostenuto che al pagamento dell'affitto partecipava Tremonti, con versamenti in contanti. L'immobile, situato a poca distanza da Montecitorio, risultava affittato per 8mila euro al mese nel 2009. Per più di due anni venne utilizzato da Tremonti, che vi abitava durante i giorni di permanenza a Roma. L'immobile, da ristrutturare, era stato preso in affitto da Milanese dal Pio Sodalizio dei Piceni per metterlo a disposizione di Tremonti.

Fonte

L’inganno del web: la democrazia 2.0 è una dittatura mascherata.



Che ha detto Catalano? Che ha detto la Sarti? Ivan Catalano e Giulia Sarti, chi sono costoro? Sono deputati del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, di cui i giornalisti elemosinano una dichiarazione, una frase, una parola. Per non parlare del patetico assedio allo stesso Grillo, la cui casa di Sant’Ilario, in Liguria, sembra la Mecca, con tanti, troppi giornalisti pellegrini che pendono dalle labbra del comico che ha vinto le elezioni.
Al di là della figura – davvero poco edificante – che ci fanno i giornalisti, apostrofati dallo stesso Grillo come «servi» e «maiali», questi paradossali episodi ci inducono a riflettere sulla strategia di comunicazione del Movimento 5 stelle, su cui si sono espressi la settimana scorsa sulle colonne di «Repubblica» due personaggi discutibili per le loro idee, ma indubbiamente autorevoli come esperti di comunicazione contemporanea, il semiologo e letterato italiano Umberto Eco e lo studioso di Internet bielorusso, ricercatore nell’università americana di Stanford, Evgeny Morozov.
Entrambi gli interventi meritano attenzione perché mettono in dubbio quello che sentiamo ripetere in questi giorni un po’ dovunque: Grillo avrebbe capito che la televisione e la carta stampata non contano più nulla, ormai c’è solo Internet. È un errore in cui sono caduti anche i sociologi di sinistra Roberto Biorcio e Paolo Natale nel loro pur interessante libro «Politica a 5 stelle», che ho recensito su queste colonne.
Anche loro parlano di superamento della televisione, che Casaleggio e Grillo avrebbero trovato il modo di rendere irrilevante. In realtà non è proprio così. I primi a notarlo sono stati gli eccellenti esperti di comunicazione che gestiscono il blog likebreakfastcereal.it.
Francesca Burichetti e David Mazzerelli sono usciti tempestivamente il 28 febbraio con un articolo dal titolo «Internet? Piazze? Macché, Grillo vince grazie alla TV».
L’articolo spiega tre cose. La prima è che la forza della strategia ideata da Casaleggio non consiste tanto nel mezzo scelto – Internet – quanto nel presentare quelle che sembrano «storie personali» di persone comuni, ma che in realtà sono studiate a tavolino e rispondono a una sapiente strategia.
«Casaleggio sa bene che una comunicazione politica efficace per muovere l’elettorato deve prima muovere emozioni e le emozioni si muovono a partire dai racconti. Meglio se da racconti personali».
Secondo: la strategia di Casaleggio prevede tre fasi. «1° step: usare i new media per ideare e creare l’evento. 2° step: creare l’evento per creare una notizia impossibile da non coprire mediaticamente. 3° step: creare la notizia per richiamare i media tradizionali: TV, radio e stampa in primis». Terzo: una volta che si è seguita questa strategia, il miglior modo di far parlare di sé la televisione è non andare in televisione.
Prima delle elezioni Grillo era il leader politico di cui le televisioni parlavano di più dopo Berlusconi. Ora sta superando anche Berlusconi. Eppure Grillo non va mai in televisione. Ma è la televisione ad andare da lui. Se Grillo, come aveva annunciato, fosse andato a farsi intervistare da Sky avrebbe avuto ben poco minutaggio dalle altre reti televisive, tra l’altro di solito attente a non fare pubblicità alla concorrenza. All’ultimo invece non c’è andato, e il fatto che sia rimasto a casa è diventata una notizia che tutte le reti hanno dato con grande risalto per oltre ventiquattr’ore.
Lo ha ribadito Umberto Eco: «La chiave del successo è non apparire mai in televisione». «Grillo ha capito questo punto fondamentale: la comunicazione non è più diretta ma va come una palla di biliardo, ovvero si parla a nuora perché suocera intenda (e viceversa)», si parla sul blog o su Twitter per essere ripresi dalla televisione. E i contenuti emotivi e brevissimi di Grillo – che comunica a misura di Twitter, e anche sul blog propone spesso post di poche righe – oggi battono i ragionamenti, in un’epoca in cui – per dirla con Stefano Bartezzaghi che intervista Eco – «il pathos ormai predomina sul logos» e l’intrattenimento politico con pochi contenuti, il «politainment», prevale sulla politica ragionata. Dire poco, e lasciar credere di avere molto da dire che però si tace, è una dinamica fondamentale dell’esoterismo caro a Casaleggio. Lo stesso Eco lo aveva mostrato anni fa, paragonando il successo di un certo esoterismo alla seduzione femminile: entrambi hanno capito che, in un’epoca in cui tutti – e tutte – rivelano e si mettono a nudo, velare può avere più successo che svelare.
Nell’intervista a «Repubblica» Eco denuncia questa strategia di Grillo e Casaleggio come falsamente democratica. Quando ci dicono che «uno vale uno», afferma il semiologo, i capi del Movimento 5 stelle si ricollegano almeno implicitamente a Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), che voleva sostituire la democrazia rappresentativa con un’assemblea permanente, un’«agorà» dove tutti i cittadini decidono senza mediazioni. Ma l’agorà di Grillo è falsa, dice Eco, perché non tutti gli italiani sono utenti del Web, e meno ancora sono gli utenti che capiscono completamente come funziona, per cui «le decisioni non sono prese dal popolo sovrano ma da un’aristocrazia di blogghisti». E questa è anche l’obiezione rivolta a Grillo e Casaleggio da Morozov, che è diventato famoso denunciando Google, Facebook, Twitter e Wikipedia come sistemi falsamente democratici che sono in realtà controllati da poche persone le quali, come Casaleggio, ne «conoscono il linguaggio e i trucchi retorici».
Né, insiste Morozov, si tratta solo di trucchi retorici: ci sono aziende americane, da cui la Casaleggio & Associati ha appreso la lezione fino a diventare un loro concorrente a livello internazionale, che sanno utilizzare algoritmi e tecniche molto sofisticate per amplificare certi messaggi su Internet e sui social network e metterne a tacere certi altri.
Sono considerazioni condivisibili, per quanto discutibili siano le idee generali di Eco o di Morozov. Casaleggio, però, potrebbe rispondere che nel suo caso il trucco non è un trucco, perché è stato dichiarato in anticipo.
Nel suo libro «Tu sei rete» il guru del Movimento 5 stelle scriveva: «Fino a qualche anno fa, le relazioni tra persone, oggetti ed eventi erano attribuite al caso. L’unico modo per ipotizzare il funzionamento dei sistemi complessi era attribuirne le ragioni ad avvenimenti casuali. La vita e l’evoluzione delle reti seguono invece leggi precise e la conoscenza di queste regole ci permette di utilizzare le reti a nostro vantaggio». E chi sa utilizzare le reti a suo vantaggio? Un piccolo gruppo di persone, gli «influencer».
«Online il 90 per cento dei contenuti è creato dal 10 per cento degli utenti, queste persone sono gli influencer – scrive Casaleggio –. Quando si accede alla Rete per avere un’informazione, si accede a un’informazione che di solito è integrata dall’influencer o è creata direttamente dall’influencer. Un prodotto, un servizio online è fortemente influenzato dall’opinione dei cosiddetti influencer, molto più per esempio dalla promozione diretta o dalla ricerca che viene creata dalle società con forti investimenti. Se pensiamo per esempio a un prodotto di elettronica, il 60 per cento degli acquisti on line viene orientato dagli influencer, quindi se per esempio il prodotto di elettronica viene osteggiato dall’influencer non viene venduto on line».
La lingua italiana è un po’ contorta, ma il concetto è chiaro. La Rete è nelle mani degli influencer come Casaleggio. Che però, spiega altrove, hanno bisogno di «portavoce» come Grillo per dominare l’opinione pubblica anche fuori della Rete.

Tratto da: fonte

venerdì 8 marzo 2013

«I rimborsi folli a Palazzo porteranno voti a Grillo»

Il vicepresidente Swg Pessato: «I privilegi e la scarsa trasparenza dei partiti in Fvg influenzeranno gli elettori nella scelta alle urne del 21 aprile. Chi è coinvolto farebbe bene a non ricandidarsi» 




TRIESTE. «Difficili da quantificare, ma le conseguenze sul voto ci saranno». Tutto a vantaggio di M5S, a detta di Maurizio Pessato. Il vicepresidente di Swg parla chiaro: «I fatti del Friuli Venezia Giulia, nell’immaginario dell’elettorato, vengono equiparati agli scandali ben più gravi in Lombardia e Lazio». Sull’elezioni di aprile, però, «peseranno anche altri fattori».
L’inchiesta della magistratura sulle spese di rappresentanza in Consiglio regionale quali scenari apre per il voto alle regionali aprile?
È prevedibile pensare a un possibile impatto sul voto: il riflesso ci sarà. Perché la questione fa parte di uno di quei temi che hanno mosso l’elettorato ultimamente: i privilegi della classe politica e la poca trasparenza dei partiti e dei loro esponenti. Elementi che hanno rafforzato M5S. Però ci sono anche altri aspetti che possono influenzare, uno su tutti lo scenario nazionale attuale, dobbiamo vedere cosa succederà in Parlamento nei prossimi giorni. Quindi è difficile isolare singoli fattori.
Si possono ipotizzare percentuali di voto spostate a causa dell’inchiesta?
Non si può dire. Perché, come detto, è impossibile isolare i singoli fattori. E poi, proprio sul possibile vantaggio per i grillini, va considerato anche che l’elettorato potrebbe aver già esaurito con le politiche il proprio voto di protesta e quindi non si sente sollecitato, più di tanto, a cambiare perché ha già valutato i limiti i pregi dei partiti.
Il discorso vale per tutti i partiti?
Credo riguarderà comunque tutti. Perché l’elettore di Grillo ha agito così: davanti a un singolo scandalo ha equiparato tutte le forze politiche. Infatti il voto a M5S è trasversale. Ripeto: davanti a uno scandalo che coinvolge un singolo partito Grillo dice “mandiamoli tutti a casa”. Secondo questo ragionamento tutto il mondo politico, nel suo insieme, risulta essere inadeguato davanti alla situazione del Paese. La proposta di Grillo è generalizzante.
Quindi il consenso di M5S salirà anche in Friuli Venezia Giulia?
Sì, è possibile. E dobbiamo tener conto anche che si vota due mesi dopo le politiche. E questo favorisce ancora di più i grillini, visto che c’è ancora nelle orecchie il loro risultato elettorale positivo e che il quadro è estremamente aperto a Roma. Infatti Grillo avrebbe molte argomentazioni da parte sua: in ambito nazionale può additare una politica che non funziona. Anche se lui stesso ora ne fa parte.
I consiglieri coinvolti nell’inchiesta in Friuli Venezia Giulia per quanto soltanto indagati, farebbero bene a non presentarsi alle elezioni?
Direi che in questa situazione sì. Certo che questa sembra una giustizia sommaria: ma è anche vero che i cittadini ora sono molto attenti al tema del rapporto tra politico e la gestione della sua carica. Quindi nell’interesse della forza politica che rappresentano se non rinunciassero agli indagati potrebbe essere un problema.
Il Friuli Venezia Giulia è una regione finora ritenuta “virtuosa”. Possiamo paragonare i fatti del Consiglio di piazza Oberdan agli scandali in Lazio e in Lombardia?
In Fvg siamo lontani da quello che è successo in Lazio e in Lombardia, da quanto si sta leggendo sui giornali. La gravità dei fatti non sta nell’entità del reato. Ma se tu lo puoi reiterare o meno. O, ancora, che con quel caffè che ti sei fatto rimborsare dimostri che non sei integerrimo. Non si misura l’entità , ma un principio. Beppe Grillo porta avanti questo: tutti a casa senza distinzioni. Anche le scorrettezze del Fvg, in questo senso, nell’immaginario collettivo sono quindi equiparabili alle altre regioni. (g.s.) 

Fonte 

P.A.: Cdm approva Codice comportamento, stop a regali sopra 150 euro



(ASCA) - Roma, 8 mar - I dipendenti pubblici non potranno chiedere e accettare regali o compensi di valore superiore ai 150 euro, dovranno limitare a ragioni di ufficio l'uso di telefoni e di altro materiale assegnatogli dalla P.A. e avranno l'obbligo di astenersi dal svolgere attivita' che possano entrare in conflitto di interesse con le loro mansioni. Lo ha stabilito oggi il Consiglio dei ministri, approvando un regolamento contenente il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici in attuazione della legge anti-corruzione del 2012 e in linea con le raccomandazioni Ocse in materia di integrita' ed etica pubblica.

Il provvedimento, si legge nella nota conclusiva del Cdm, ''proposto e approvato del ministro della Pubblica amministrazione e semplificazione'', ''indica i doveri di comportamento dei dipendenti delle P.A. e prevede che la loro violazione e' fonte di responsabilita' disciplinare''.

Il codice prevede che ''i dipendenti pubblici non potranno chiedere e accettare regali, compensi o altre utilita', nonche' il divieto di accettare regali, compensi o altre utilita', salvo quelli d'uso di modico valore (non superiore a 150 euro) - anche sotto forma di sconto. I regali e le altre utilita' comunque ricevuti - si legge ancora - sono immediatamente messi a disposizione dell'Amministrazione per essere devoluti a fini istituzionali.

Inoltre, il decreto indica l'obbligatorieta' della ''comunicazione del dipendente della propria adesione o appartenenza ad associazioni e organizzazioni (esclusi partici politici e sindacati) i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento delle attivita' dell'ufficio; la comunicazione, all'atto dell'assegnazione all'ufficio, dei rapporti diretti o indiretti di collaborazione avuti con soggetti privati nei 3 anni precedenti e in qualunque modo retribuiti, oltre all'obbligo di precisare se questi rapporti sussistono ancora (o sussistano con il coniuge, il convivente, i parenti e gli affini entro il secondo grado)''.

''L'obbligo per il dipendente - prosegue la nota - di astenersi dal prendere decisioni o svolgere attivita' inerenti le sue mansioni in situazioni di conflitto di interessi anche non patrimoniali, derivanti dall'assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici; la tracciabilita' e la trasparenza dei processi decisionali adottati (che dovra' essere garantita attraverso un adeguato supporto documentale); il rispetto dei vincoli posti dall'amministrazione nell'utilizzo del materiale o delle attrezzature assegnate ai dipendenti per ragioni di ufficio, anche con riferimento all'utilizzo delle linee telematiche e telefoniche dell'ufficio''.

Infine sono dettati ''gli obblighi di comportamento in servizio nei rapporti e all'interno dell'organizzazione amministrativa; per i dirigenti, l'obbligo di comunicare all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possono porli in conflitto d'interesse con le funzioni che svolgono; l'obbligo di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale previste dalla legge; il dovere, nei limiti delle loro possibilita', di evitare che si diffondano notizie non vere sull'organizzazione, sull'attivita' e sugli altri dipendenti''.

Dal decreto e' anche ''assicurato il meccanismo sanzionatorio per la violazione dei doveri di comportamento''.

Fonte

mercoledì 6 marzo 2013

Politica e declino, le occasioni mancate di quattro governi

Tante promesse in campagna elettorale, ma poi le crisi non sono state affrontate


L’Italia è l’unico Paese avanzato dove lo sviluppo si è fermato. Diventiamo più poveri. Ecco come la politica non ha saputo reagire nel corso nelle ultime quattro legislature.



2001
 

Un «nuovo miracolo economico» è la promessa di Silvio Berlusconi: meno fisco con tagli alle spese. In realtà le tasse le ha già calate molto il precedente governo di centro-sinistra, l’Amato 2. Occorrerebbe domandarsi come mai elargire 24.200 miliardi di maggior deficit (12,5 miliardi di euro) non solo non ha impedito la vittoria del centro-destra, ma nemmeno ha impresso un impulso significativo all’economia; invece niente. Tutti i poteri costituiti nonché le lobbies appoggiano il Cavaliere: si può intuire che la spesa pubblica aumenterà e che non si faranno più privatizzazioni. Così infatti avviene. In capo a tre anni, l’economia italiana rallenta sempre più mentre il mondo, superato in breve lo shock delle Torri gemelle, avanza a gonfie vele. Tremonti, messo sotto infrazione dall’Europa per il deficit, perde il posto di ministro dell’economia. Anche in Germania ci sono difficoltà; poi all’improvviso si scopre che lì un governo di sinistra ha avuto il coraggio di riformare lo Stato sociale e di liberalizzare, cosicché dopo lunghi anni di sacrifici la crescita riparte. Da noi gli industriali, dopo aver calorosamente sostenuto il centro-destra, si domandano quali vantaggi ne hanno ricavato. 

2006  


Romano Prodi in campagna elettorale fa tre distinte promesse: ridistribuire ricchezza a favore dei redditi bassi; ridare competitività alle imprese per stimolare la crescita; risanare la finanza pubblica. Già sarebbe stato arduo realizzare tutte e tre insieme in condizioni normali; diviene impossibile dopo una vittoria di strettissima misura. La manovra economica 2007 infatti scontenta tutti. Le imprese ottengono un limitato sollievo senza che vengano affrontati i problemi di fondo. Tommaso Padoa-Schioppa riesce a raddrizzare i conti dello Stato al prezzo di grande impopolarità; poi deve subire la controriforma delle pensioni concordata con i sindacati, che scarica nuovi oneri sugli anni futuri.

2008  

E’ arrivata la crisi finanziaria mondiale: Tremonti si vanta di averla prevista da anni, Berlusconi assicura che non riguarda noi. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, tutti i Paesi del mondo varano misure di sostegno all’economia; il superministro sa che l’Italia non ha i soldi per permettersele e le evita, scelta che tutto il resto del Pdl non gli perdonerà mai. Per ingraziarsi un elettorato vecchio, che pensa a tenersi stretti i patrimoni più che alla crescita economica, il centro-destra dopo aver fatto centro anni prima sull’imposta di successione, toglie l’Ici dalla prima casa. Quando matura la crisi dell’euro Berlusconi non ne può più di Tremonti, e gli altri governi europei di tutti e due (ai vertici il ministro dell’Economia o fa le bizze o non sta attento). Aumento dell’evasione fiscale da un lato, cassa integrazione dall’altro proteggono i vecchi; i giovani subiscono. L’Italia riesce ad evitare il contagio degli altri Paesi deboli fino a metà del 2011, poi grazie anche al bunga-bunga precipita; a novembre rischiamo il crack. Ovviamente se le medicine vengono somministrate tardi, occorre prenderle in dosi da elefante, e gli effetti collaterali sono rischiosi.

2013  


Si evita la catastrofe ma si entra in una nuova recessione. Quasi tutto il peso dell’impoverimento del Paese è scaricato sui giovani, che si vendicano votando Beppe Grillo. Ma in fondo il messaggio del Movimento 5 stelle parla anche ai vecchi: dividiamo meglio quello che abbiamo, campiamo con quello che c’è finché dura, niente grandi opere, consumiamo prodotti locali, insomma al declino occorre rassegnarsi. La borghesia responsabile non risponde all’appello di Mario Monti, forse perché non esiste. A combattere l’evasione fiscale di sicuro non ci proverà più nessuno, dopo la travolgente popolarità delle parole d’ordine contro Equitalia e contro il redditometro.

Fonte

Commento di Oliviero Mannucci: Lo dico da sempre! Per rilanciare l'economia italiana e combattere efficaciamente l'evasione fiscale bisogna che chi governa abbassi le tasse alle imprese. Lo Stato italiano alla lunga incasserebbe molto di più di quento incassa ora. 

Politica e morti sulla coscienza: Uccide due impiegate della Regione e si suicida

Fuoco contro due donne, forse per un finanziamento da 100 mila euro negato. Il presidente Marini rientra da direzione Pd

 

Un uomo è entrato mercoledì poco dopo mezzogiorno negli uffici della Regione Umbria a Perugia e ha sparato contro due impiegate dell'ufficio per l'accreditamento delle agenzie formative. L'aggressore entrando nell'ufficio al quarto piano a pistola spianata avrebbe urlato a più riprese «mi avete rovinato», pare riferendosi al sistema di accreditamento legato alle agenzie di formazione: gli sarebbe stato bloccato un finanziamento da 100 mila euro. Era entrato nell'edificio lasciando i documenti all'ingresso, e secondo indiscrezioni era un imprenditore classe 1970. Si è poi suicidato con la stessa arma in un'altra stanza.

LE VITTIME - Le vittime sarebbero una dirigente e una consulente dell'ufficio. Una delle due è morta quasi sul colpo, l'altra poco dopo nonostante il tentativo dei sanitari di stabilizzarla sul posto e di trasportarla al Santa Maria della Misericordia. Lo hanno confermato diversi investigatori accorsi sulla scena.
IL PRESIDENTE RIENTRA IN SEDE - La tragedia è avvenuta all'interno del palazzo del Broletto, in piazza del Bacio, nella zona della stazione ferroviaria. All'interno si trovano uffici di vari assessorati. Il presidente della Regione, Catiuscia Marini, informato, ha lasciato la direzione del Pd a Roma e sta rientrando a Perugia. Sul posto oltre alla polizia diverse ambulanze e pattuglie dei carabinieri; il magistrato di turno, Massimo Casucci; il sindaco del capoluogo Wladimiro Boccali.


Fonte

Italia: situazione drammatica, rischi di guerra civile nei prossimi mesi

L’anno scorso hanno chiuso i battenti quasi 380.000 mila imprese, oltre mille al giorno. La pressione fiscale per le imprese è del 75%. Mentre il livello in rapporto al Pil ha superato il 44%. Nei bilanci Inps c’è un buco di oltre 10 miliardi

 


NEW YORK (WSI) - L’anno scorso hanno chiuso i battenti quasi 380.000 mila imprese, oltre mille al giorno. Secondo quanto riportato di recente dalla CGIA di Mestre, almeno un'impresa su due, delle piccole e medie imprese rimaste, pagano a rate i propri collaboratori, o si indebitano per poterlo fare. Stanno anche accumulando debiti tributari crescenti, o ricorrono al credito esterno per poter sostenere il carico fiscale. La pressione fiscale, per le imprese, è del 75% o forse più. Mentre il livello in rapporto al Pil ha superato la soglia del 44%.

Dall’inizio della crisi, i titoli di credito (assegni bancari o postali, cambiali, tratte ecc. ecc.) che alla scadenza non hanno trovato copertura sono cresciuti quasi del 13%.

Sempre secondo quanto ci riferisce l'Associazione di Mestre, le sofferenze bancarie in capo alle aziende hanno subito un incremento del 165%.

A proposito di banche, abbiamo la banca più antica del mondo, il Monte Paschi, che è in bancarotta e negli ultimi quattro anni sono stati necessari ben due interventi statali per rianimarla e prolungarne l’agonia: il primo con i Tremonti Bond, il secondo con Monti Bond. Costo complessivo dell'operazione, oltre 4 miliardi di euro, pari all'intero gettito IMU sulla prima casa. Sarebbe curioso indagare approfonditamente anche sugli altri gruppi bancari, al fine di capire l’esatto stato di solvibilità e l’utilizzo che è stato fatto della montagna di derivati che hanno in pancia. Che siano stati utilizzati anche per abbellire i conti? Non lo sappiamo, ma se è vero che pensare male si commette peccato, è anche vero che talvolta ci si azzecca.

Pochi giorni fa, è emerso che nei bilanci dell'Inps c’è un buco di oltre 10 miliardi di euro, e sempre lo stesso ente, in base ai dati del 2011, fa sapere che in Italia le prestazioni pensionistiche inferiori ai 1000 euro, sono il 77% del totale, e oltre 2,4 milioni di pensionati, invece, ricevono un assegno inferiore a 500 euro mensili. Somme che, vista l'esiguità e il crescente costo della vita, condannano i percettori a vivere in condizioni di crescente indigenza e ovvia difficoltà, soprattutto in età avanzata.

I disoccupati sfiorano i 3 milioni. Il tasso disoccupazione è intorno al 12%, mentre quella giovanile è prossima al 40%, con picchi vicini al 50% al sud. Fuori del perimetro dei dati appena enunciati, c’e un numero considerevole di cassaintegrati in forza ad aziende che non avranno mai la possibilità di riprendersi da questa crisi, e presto diverranno disoccupati in pianta stabile proiettando il tasso di disoccupazione ben oltre il 15%.

A dimostrazione di quanto appena affermato a proposito del crescente stato di povertà, proprio pochi giorni fa, un sito Usa ha diffuso un'analisi secondo la quale il tasso di rischio di povertà italiano ha superato quello della Spagna. Non solo, ma in un'altra analisi diffusa dallo stesso sito, emerge che il tasso di disoccupazione giovanile ha superato quello del Portogallo attestandosi oltre il 38%, un livello analogo a quello della Grecia di appena 2 anni fa.

Nell’ultimo anno, nonostante la spremitura di tasse operata dal Governo Monti con il sostegno congiunto del Pd e del Pdl, il debito pubblico è aumentato di oltre 80 miliardi di euro superando la barriera dei 2000 miliardi, attestandosi a quasi il 128% del PIL. Ormai si viaggia speditamente verso i parametri greci.

Nello stesso periodo il PIL è crollato del 2,4%, e se dovessimo allungare l’orizzonte ai 5 anni precedenti, osserveremmo che la crescita nazionale si è contratta di oltre il 7% dall’inizio della crisi.

La produzione industriale è crollata a livelli che non si vedevano da decenni, così come sono crollati consumi precipitati sotto i livelli del 2001. Un numero considerevole di famiglie confermano che possono arrivare a fine mese solo intaccando i risparmi accumulati in una vita, o dalle generazioni passate.

Un numero sempre più significativo di comuni e regioni, sono in difficoltà finanziarie e sempre più prossimi alla bancarotta.

Le pubbliche amministrazioni statali devono alle imprese circa 70 miliardi di euro, che si sommano agli ulteriori 70 miliardi che devono pagare le autonomi locali, arrivando all'iperbolica cifra di 140 miliardi. Queste somme non rientrano nel perimetro del debito pubblico e, se così’ fosse, il rapporto debito/Pil schizzerebbe oltre il 140%; ammesso che ci siano investitori disponibili a comprare il debito pubblico per pagare i debiti delle Pa.

Le imprese italiane, negli ultimi sei anni, ossia dall'inizio della crisi, hanno perso oltre 500 miliardi di euro di fatturato. La cancelliera Angela Merkel, non più tardi di qualche settimana fa, ha affermato che con ogni probabilità, l'attuale crisi, si protrarrà per almeno altri 5 anni. E arriviamo così a undici anni di crisi. Ci dicono che dobbiamo lavorare oltre 40 anni, e ci può anche stare. Ma in queste condizioni significa trascorrere oltre un quarto della vita lavorativa e professionale in profonda crisi. E non è affatto escluso che quelle che verranno in seguito non siano ancor più frequenti o meno profonde di quella attuale.

Il rischio è quello di convivere con recessioni economiche per buona parte della carriera professionale. Questo, è semplicemente impossibile.

Paghiamo una novantina di miliardi all'anno per interessi sul debito pubblico, che si autoalimenta e cresce per inerzia. Questo, nella sua connotazione attuale, e in un simile ambiente, è semplicemente impagabile.

Siamo all'ingovernabilità totale e, con ogni probabilità, passeranno ancora lunghi mesi prima di poter avere un esecutivo capace di governare. Per quanto qualificato possa essere, che un nuovo governo possa invertire questa tendenza, è solo un pia illusione che può albergare nelle menti che pericolosamente rifuggono dalla realtà dei fatti. Il processo è inarrestabile, e tenderà ad accelerare con il trascorrere dei mesi. Se tutto ciò non fosse sufficiente, si potrebbe andare avanti ancora per ore. Ma non cambierebbe affatto il risultato.

Ormai il punto di non ritorno è stato superato, da un pezzo. L’Italia è fallita, fatevene una ragione. Se per crederci attendete la conferma da parte del mondo politico, state pur certi che verrà annunciata solo dopo che vi avranno tolto tutto, anche la speranza.

Si sta cercando di mantenere l’apparente solvibilità dello Stato e del sistema bancario, rendendo insolventi unnumero mostruosamente crescente di imprese e famiglie. Questo è solo un massacro alla devastazione che rischia di abbattere del tutto quel che rimane del sistema produttivo nazionale, compromettendo o rendendo più ardua ogni possibilità di risalita.

E' indispensabile avere un piano B per garantirci, eventualmente, una via di fuga e uscire dai vincoli imposti da questa camera a gas chiamata eurozona. Occorre dichiarare il default e annunciare la ristrutturazione del debito tagliandone il capitale, gli interessi e riprogrammando le scadenze verso un sentiero più sostenibile.

Questo evento, per quanto traumatico possa essere, nel comune interesse di tutti, se concertato anche con istituzioni sovranazionali e creditori, limiterà gli effetti devastanti di un default incontrollato che non tarderà ad arrivare. Eviterà l'annientamento dell'apparato produttivo e del tessuto imprenditoriale, altrimenti perennemente al servizio del debito e di un apparato burocratico/amministrativo degno della peggiore Unione Sovietica, fino alla scomparsa.

L'alternativa a questo saranno scontri sociali, rivolte, scomparsa di buona parte del tessuto produttivo, svendita di interi settori industriali, perdita dei diritti acquisiti, compressione dello stato sociale, povertà diffusa e bancarotta. Quella vera intendo, quella imposta dalle regole del mercato selvaggio.


Paolo Cardenà

Fonte