“Abbiamo vinto. E daje”. Anno di grazia 2020, tarda primavera. In un
Italia che (ancora) non esiste e con una legge elettorale tutta nuova,
soprannominata l’Astensionellum, mentre i tg snocciolano i dati delle
elezioni, gli opinionisti ripetono i loro vuoti sermoni e non si trova
uno straccio di politico da portare davanti alle telecamere per un
commento a caldo sulla debacle dei seggi elettorali andati deserti, il
nostro non elettore esulta. Il non partito del non voto ha superato ogni
pronostico. Altro che il 27,75 per cento della tornata del 2013! O il
35 per cento del 2018. Lo stivale intero è ad un soffio dal superare il
clamoroso dato della consultazione siciliana di alcuni anni prima,
quando il 53,24%, un elettore sue due, aveva disertato le urne.
 |
. |
“Stavolta
il non governo la facciamo noi”, ripete incredulo il non elettore
(chiamiamolo Battista l’astensionista). Quello che per anni aveva dovuto
sorbirsi i predicozzi un tanto al chilo sul voto utile, quello a cui
avevano detto, “guarda che così vincono gli altri”, “guarda che poi non
avrai diritto di lamentarti,” “guarda che…”, va alla finestra,
inutilmente trattenuto dai familiari, urla frasi sconnesse sulla “grande
non partecipazione popolare” e stappa lo spumante messo in fresco la
sera prima. “Vota e turati il naso? Col cazzo! Turatevelo voi adesso”.
Davanti
allo schermo l’infografica sulle nuove Camere è implacabile. Non lascia
adito a dubbi: dei 630 seggi a Montecitorio ce ne sono da distribuire
meno di 300, al Senato non va meglio, i 315 sono diventati 150. Ad
indicare le poltrone che resteranno vuote tanti quadratini grigi. Una
prateria di quadratini grigi. La democrazia delle assenze ha vinto.
Finora a mancare erano gli elettori, adesso pure gli eletti. Il cerchio
si chiude. I peones (e non solo loro) rimasti col culo a terra
minacciano di rivolgersi alla Corte Costituzionale, “che diamine! si
tratta di diritti acquisti in fondo”, tuona un loro improvvisato
portavoce.
Per la nuova legge elettorale avevano dovuto mettere
mano alla Costituzione, articoli 56 e 57. “Il numero dei deputati non
può essere superiore a 630… Dal computo complessivo dei seggi da
assegnare verrà sottratta proporzionalmente la percentuale di astensione
che superi il 10 per cento, ritenuto fisiologico”. Comprensibile a
tutti. Più del Rosatellum sicuramente.
Una rivoluzione copernicana.
Ci si era arrivati dopo un intenso e accalorato dibattito in cui si era
perfino affacciata l’ipotesi, fortunatamente scartata, di rendere
obbligatorio il voto e punire l’astensionismo con una multa salatissima
o, in alternativa, con pene corporali.
 |
. |
Sul finire prematuro di
una legislatura che aveva visto all’opera, prima la nuova risicata
maggioranza FI-Pd e poi l’unità nazionale FI-Pd-LeU, con la non sfiducia
di Lega e M5S e l’opposizione solitaria di Potere al Popolo, si era
approdati al conteggio a segno negativo dell’astensionismo. La
democrazia italiana pencolava paurosamente e quella soluzione dolorosa -
qualcuno l’aveva definita la cura omeopatica - era parsa ai più (capo
dello Stato in testa) l’unica in grado di salvare il salvabile. E poi
c’era un’assordante rumore di sciabole. Anzi di idranti. Forti
dell’ultimo Rapporto sul benessere equo e sostenibile dell’Istat che li
piazzava al primo posto nell’indice di fiducia degli italiani, i vigili
del fuoco reclamavano per loro gli scranni di Montecitorio e Palazzo
Madama, ovviamente, senza passare per l’inutile e logoro rito delle
urne.
Qui finisce il
divertissement e veniamo alla
realtà di un paese dove si dice messa nelle chiese vuote. La democrazia,
in assenza di istituzioni che si appoggino davvero sul voto popolare, è
diventata parola vuota, carosello per le élite. Oddio, élite: a
scorrere le liste elettorali si trovano mestieranti, pregiudicati,
attori e attrici, arrivisti di ogni risma, eccellenze del nulla ed
esperti nell’arte antica del poggiaculo, portavoce, portaborse o
semplici lacchè.
 |
. |
Chi oggi discetta contrito sull’astensionismo
dovrebbe pure ricordarsi che da diversi anni l’elettore (of course,
quello consapevole) viene considerato un impiccio. Un po’ come quei
presidi che pensano che la scuola andrebbe molto meglio se non ci
fossero gli studenti, il ceto politico ha alimentato l’astensionismo (ci
ricordiamo Giorgio Napolitano che in occasione del referendum sulle
trivelle ha sostenuto, senza il minimo imbarazzo, che non votare era “il
diritto di ogni cittadino”?), salvo poi lamentarsene nei salotti
televisivi, quando, come sta accadendo, questo tracima dall’ambito
referendario, investe le elezioni politiche e amministrative e supera i
livelli di guardia, mostrando a tutti la scandalosa verità di un re nudo
e pure deforme: la rappresentanza non rappresenta nessuno, al più una
esigua minoranza.
Aldo Cazzullo sul
Corriere della Sera
mette il dito nella piaga delle “promesse impossibili” dei vari partiti,
però alla fine ritiene che in questa tornata elettorale “la maggioranza
andrà ancora alle urne”. Riflesso pavloniano dell’elettore? Sempre sul
Corrierone Giuseppe De Rita ammette che “i richiami al senso civico non
bastano più” e che sarebbe, invece, utile “far maturare qualche vena
nuova di obiettivi”. Facile a dirsi! E con chi poi se il disinteresse
dei cittadini è esattamente il risultato del cibo rancido che esce dalle
cucine degli psuedo
partiti?
 |
. |
Sono più di venticinque anni ormai
che il nostro Paese è alle prese con sistemi elettorali che comprimono
la rappresentanza in nome del falso mito della governabilità, il tutto
condito da liste bloccate che paracadutano in parlamento famigli e
fedelissimi del leader di turno. Ebbene, forse sarebbe ora di comprimere
non la rappresentanza con artifizi il più delle volte incostituzionali,
bensì i rappresentanti. E il conteggio a segno negativo
dell’astensionismo nella ripartizione degli scranni può rappresentare
una possibile soluzione.
Il non partito del non voto è un gioco,
ma può essere utile per ricostruire quel rapporto elettore-eletto che è
andato pericolosamente in corto circuito con la fine della mai troppo
rimpianta prima repubblica. Un cortocircuito che nemmeno i Cinque stelle
- quelli che dovevano aprire il parlamento come una scatola di tonno (o
erano sardine?) - sono riusciti a sanare, intrappolati da troppe
promesse, parecchia ignoranza e molte furbizie. Gli alti lai sulle forze
antisistema (quale sistema?) servono a poco, sono, niente più che
ipocrisia spicciola e gioco di specchi. Se è vero che il non voto
interroga l’incapacità della politica tutta di costruire una narrazione
credibile e risposte altrettanto credibili, la prima a farse carico, a
pagarne il prezzo, dovrebbe essere la politica medesima. D’altronde se
un numero sempre più crescente di italiani ritiene che non vi sia una
offerta politica degna di rappresentarlo, nemmeno per approssimazione,
logica vuole che gli scranni corrispondenti a quella (non) scelta
restino vuoti.
Lo choc determinato dall’Astensionellum può
riportare la politica ad interrogarsi sul suo rapporto con la
rappresentanza. Ottimista? Forse, in ogni caso se così non fosse
servirebbe comunque a ridurre i costi della politica ben più delle tante
proposte che sono state avanzate in questi anni. A cominciare dal
fallito colpo di mano di Renzi sul Senato che (ancora una volta!) mirava
non a ridurre i senatori e i loro ricchi emolumenti ma a sottrarre i
cittadini del loro diritto al voto, per finire con la demagogica e mesta
storiaccia dei cosiddetti rimborsi Cinque stelle.
Insomma, un
meccanismo che penalizzi proporzionalmente i partiti politici quando e
se si allontanino dal loro compito di rappresentanza andrebbe pensato.
Davvero. E in fretta. Perché poi la nostra malandata democrazia non è
mica un divertissement.
Giampiero Cazzato
Fonte