Occhio tonto, sorriso guascone. Enrico Letta giubila orgogliosamente
per l’arrivo di 500 milioni di euro di investimento del fondo sovrano
del Kuwait in Italia. Ennesima zappata sui piedi. Ma, per capire di cosa
stiamo parlando, facciamo un passo indietro...
Cosa sono i fondi sovrani? Sono i nuovi padroni della finanza mondiale.
Al di là dei balocchi più o meno seri degli investitori privati,
degli squali della finanza tra i quali campeggia incontrastato – ultimo
dei mohicani – quel Soros speculatore durante le avventurose cavalcate
liberiste negli anni novanta e armatore di rivoluzione colorate oggi, i
fondi sovrani hanno acquisito un potere abnorme con una potenza di fuoco
pari ad un totale di diverse migliaia di miliardi di dollari e
controllando pacchetti azionari di società pari a 2mila miliardi. Oggi
sono circa una ventina e capaci di canalizzare l’economia e la finanza
mondiali: i fondi più numerosi e potenti sono quelli arabi (Emirati
Arabi, Arabia Saudita, Kuwait, Libia, Qatar, Brunei e Oman) che
costituiscono almeno un terzo del settore, ma brillano anche gli
asiatici (Cina, Singapore) e occidentali (Norvegia, Canada, Russia).
I loro capitali derivano in alcuni casi, soprattutto per quanto
riguarda paesi arabi ed occidentali, dalla produzione, lavorazione e
vendita di risorse minerarie ed energetiche, in altri dalle esportazioni
commerciali (Asia in primis), ma c’è anche chi gestisce fortune
ottenute sui proventi da surplus della bilancia dei pagamenti,
operazioni in valuta straniera, proventi di operazioni di
privatizzazione, surplus fiscali. L’obbiettivo è quello di investire
questi capitali in prodotti finanziari con una programmazione di lungo
periodo, completando le strategie di breve periodo realizzate con le
riserve nazionali, con diverse finalità: ad esempio finanziare lo
sviluppo del paese o integrare il sistema pensionistico, fondi per il
risparmio o accumulo di riserve.
I fondi sovrani stranieri operano in Italia da qualche tempo: quello
del Qatar ha costituito una joint venture (IQ Made in Italy Venture) con
il Fondo Strategico Italiano (FSI), braccio finanziario della Cassa
depositi e prestiti (Cdp), per investire nelle eccellenze italiane dei
settori moda, lusso e alimentare, veicolando infatti l’acquisto di
Valentino Spa ed interessandosi anche del marchio Versace. Il fondo
degli Emirati Arabi Uniti, l’Abu Dhabi Investment Authority, è nel
capitale di Unicredit, ma fece soprattutto scalpore per l’acquisto di
una quota minoritaria in Ferrari. Ma legame più importante è forse
quello con il Lybian Investment Authority, anche per i noti trascorsi
storici, con partecipazioni tra le maggiori in Eni, Fiat, Unicredit e
Juventus. Della campagna acquisti cinese abbiamo già parlato in passato
del settore energetico, per quanto riguarda i fondi d’investimento ci si
riferisce alla China Investment Corporation, capace di sbattere sul
tavolo circa 330 miliardi di dollari.
Ma non pensiamo per questo di essere le pecore nere della classe. Gli
investimenti in Italia, grazie alla perifericità della nostra borsa e
della struttura statale e familiare del capitalismo nostrano, sono solo
una goccia nel mare degli investimenti dei fondi sovrani: ad esempio il
Qatar Holding possiede quote in Cina (che rappresenta il 30% del
portafoglio) mentre in Europa il peso maggiore è in Germania (21%),
Regno Unito (13%), Francia (5%), Svizzera (2%) e Spagna (2%). Citigroup,
Bank of America, Barclay, Merril Lynch, Morgan Stanley, Ubs, Hsbc,
Credit Suisse, Harrods sono solo una minima parte dei grandi marchi
implicati. Mal comune, mezzo gaudio?
Quello esaltato da Letta, il Kuwait Investment Authority (KIA), è il
decano nel mondo: creato nel 1953 dallo sceicco Abdullah Al-Salem
Al-Sabah, allora a capo di un territorio ancora sotto dominazione
britannica e che otterrà l’indipendenza solo otto anni dopo, ebbe
l’obbiettivo primario di sollevare l’economia del paese dalla dipendenza
del petrolio. Oggi, ben lungi dal possedere un’economia interna
diversificata, il Kuwait incanala il 10% dei profitti derivati ogni anno
dalla vendita di idrocarburi nel Reserve for Future Generations,
gestito direttamente dal KIA, ed ha a disposizione oltre 250 miliardi di
dollari, detenendo all’interno del portafoglio quote in società come
Blackrock, gruppo di gestione che ha partecipazioni nelle aziende di
mezzo pianeta e che naturalmente ha condotto un discreto shopping anche
in Italia.
Il nuovo accordo prevede la costituzione di una newco, di proprietà
per l’80% del FSI e per il 20% di KIA, che avrà una dotazione di 2,5
miliardi di euro – apportati quindi per una quota pari a 500 milioni dal
Kuwait – e capace di investire nel tessuto produttivo nazionale.
“Oggi – questo l’annuncio del premier – è stato finalizzato un
importante accordo con il Kuwait. Il Fondo strategico del Kuwait (Kia),
che è il più antico dei fondi sovrani, ha deciso di investire
sull’Italia 500 milioni di euro messi subito tutti d’un colpo, denaro
contante, per capitalizzare il Fondo strategico italiano della Cassa
depositi e prestiti. Le risorse saranno gestite dal nostro Fondo
strategico per rilanciare le imprese italiane”.
In realtà è stato creato un fondo internazionale, in cui c’è la seria
possibilità possa essere riversata tutta una serie di partecipazioni
statali nell’industria strategica italiana (Eni, Finmeccanica, Sace,
Poste,…), che fanno gola a molti, e col tempo inserirsi in tutto lo
scacchiere economico nazionale considerato che al momento l’indice
italiano è svalutato del 56% rispetto ai livelli pre-crisi del 2007.
Prima il presidente-operaio, adesso il presidente-mercivendolo. E pure gonzo.
Scritto da Gabriele Taddei - che ringraziamo.
Fonte
"LADRI D'ITALIA" E' L'ORGANO D'INFORMAZIONE DEL MOVIMENTO POPOLARE DI LIBERAZIONE NAZIONALE "CULO A STRISCE", CHE SI PREFIGGE DI MANDARE A CASA CON LE BUONE ( o con le cattive, facendogli APPUNTO, il culo a strisce) TUTTI I POLITICI CHE CAMPANO SULLE SPALLE DI MILIONI DI CITTADINI GUADAGNANDO MIGLIAIA DI EURO AL MESE PER NON FARE QUASI UN CAZZO E RENDERE LA VITA IMPOSSIBILE A CHI SI GUADAGNA LA VITA CON IL SUDORE DELLA PROPRIA FRONTE.
IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO
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