"Mi dissero che sarebbero venuti a prendermi dopo pochi mesi. Li sto ancora aspettando."
Mario
ha passato gli ultimi trentacinque anni della sua vita in un container
di amianto. Prima nelle sistemazioni provvisorie di Barra, poi, da
diciotto anni, nei bipiani di Ponticelli. È uno degli 'invisibili' del
terremoto dell'Irpinia del 1980, una tragedia che causò quasi tremila morti e oltre 280mila sfollati.
Siamo
alla periferia est di Napoli, un deserto economico-sociale venuto a
sostituire l'attivismo degli anni Settanta e Ottanta. Cirio, Fiat,
Corradini: di queste e di altre grandi aziende - un tempo insediate qui -
oggi non c'è più traccia. È così che Napoli Est ha smesso di essere il
traino industriale della città.
Oggi, tra case popolari e strade ricoperte di rifiuti, sorgono qui u bibiann,
i bipiani di Ponticelli. Un ghetto di diciotto container in alluminio
ed amianto, nati per dare una sistemazione provvisoria ai terremotati
dell'Irpinia, ma divenuti nel tempo la residenza stabile per più di
trecento persone.
Concepiti come un parcheggio provvisorio per gli sfollati, questi
campi vennero messi in piedi dalle amministrazioni regionali in vari
punti della provincia di Napoli nel corso degli anni Ottanta. Dei due
ghetti di Barra oggi non c'è più traccia: vennero demoliti verso la fine
degli anni Novanta dalla giunta Bassolino e sostituiti da un parco
pubblico, mentre le famiglie che vi abitavano vennero ricollocate in
nuovi complessi di abitazioni popolari costruite nell'area.
Non
tutti furono però così fortunati: Mario, ad esempio, fu trasferito nei
container di Ponticelli. Ancora oggi è qui che aspetta un ricollocamento
assieme ad altre famiglie.
A Ponticelli i bipiani di amianto in
effetti esistono ancora, sebbene un lotto sia stato abbattuto tra il
2003 e il 2011 a seguito di alcune tensioni etniche
tra i residenti kosovari e serbi. La stessa sorte non è toccata invece
al ghetto in Via Fuortes, divenuto ormai uno degli esempi più lampanti
dell'intreccio tra malapolitica, mentalità camorristica e invisibilità
sociale.
Pochi conoscono bene questo ghetto di sfollati, immigrati e abusivi
come Paolo Manzo, un fotografo napoletano che per quattro anni ha
sviluppato un progetto fotografico sull'area. Trovandosi a passare di
frequente davanti a questo scempio edilizio, ha deciso di entrarci per
documentare le condizioni di vita delle persone al loro interno.
"Iniziai
a conoscere gente, a capire che aria girava ed a scoprire veramente i
bipiani," racconta a oggi a VICE News. "All'inizio ho incontrato un po'
di diffidenza, ma con il passare del tempo gli abitanti hanno iniziato a
fidarsi di me."
Abbiamo chiesto a Paolo di accompagnarci a fare un giro tra i bipiani di Ponticelli.
Camminando
per i cunicoli ricavati tra i container, viene da stupirsi per come
queste persone siano riuscite a sopravvivere qui per tutto questo tempo.
C'è amianto ovunque, ma soprattutto condizioni igienico-sanitarie
disastrose—tra discariche a cielo aperto e tubature di scarico rotte.
Una perenne puzza di bruciato ci aggredisce sin dall'inizio,
aumentando man mano che si entra nel cuore dei bipiani. La centralina
elettrica, evidentemente sovraccaricata, è annerita dalle bruciature: da
qui, centinaia di fili elettrici si diramano per tutto il ghetto,
intrecciandosi a più riprese.
Entrando nelle case - se così si
possono definire questo tipo di baracche d'amianto - la situazione non è
tanto diversa. Per quanto le persone abbiano fatto di tutto per rendere
questi luoghi più accoglienti, portandoci televisori, mobili e tappeti
ornamentali, è impossibile non fare caso alle pareti corrose e solcate
da profondi aloni neri, segno dell'altissima umidità presente nei
container.
Il problema più serio, tuttavia, è anche quello meno visibile:
l'amianto. Dopo avere trascorso decenni rinchiusi in queste gabbie di
eternit, i residenti lamentano l'impatto che quest'ultimo ha sulla loro
quotidianità, soprattutto in estate.
L'utilizzo dell'amianto, prima che venisse vietato
negli anni Novanta, era dovuto alla sua capacità di trattenere il
calore. Nella stagione calda i container si trasformano in veri e
proprio forni, costringendo le persone a trascorrere la quasi totalità
del loro tempo all'aperto, sulle panche in pietra interposte tra i
container, dove spesso finiscono anche per mangiare e dormire.
Mario, che ha cinque figli di cui uno disabile, non ne può più di
vivere in queste condizioni. "Per ora l'amianto non ci ha ancora fatto
nulla, ma arriverà il nostro momento" racconta a VICE News.
In
effetti, il processo con cui questo materiale va a colpire le vie
respiratorie dell'uomo è molto lento—ecco perché, al momento, possiamo
soltanto immaginare l'effetto di questi container sulla salute dei
residenti. L'unica apparente certezza, almeno a sentire quelli che
vivono nel ghetto, è la causa di morte più diffusa tra i container: il
cancro. L'ultima vittima è stata una donna, deceduta l'anno scorso.
VICE News ha parlato con Roberto Braibanti, responsabile ambientale
di SEL per la Provincia di Napoli, da anni impegnato in una battaglia
per lo smantellamento dei bipiani e il ricollocamento delle persone
rinchiuse al loro interno.
"Il problema dei bipiani non è solo un
problema sociale, è anche un problema ambientale e di salute pubblica
non indifferente," afferma Braibanti, che sottolinea come peraltro
l'amianto sia attualmente nella sua fase di 'vita' più pericolosa,
quella dello sbriciolamento.
Per questo motivo i container in
amianto dei bipiani, oltre a essere un pericolo per i residenti del
ghetto, lo sono anche per tutta l'area limitrofa di Ponticelli,
investita da una nube invisibile di polvere di amianto trasportata dal
vento.
Quello che stupisce è la totale assenza di studi epidemiologici che
vadano a indagare il legame tra le morti nell'area e la presenza
dell'amianto. "È scomodo avere uno studio epidemiologico su questi
problemi," è il parere di Braibanti. "Se ci fosse uno studio che solleva
il problema, bisognerebbe poi dare una risposta. L'assenza di uno
studio permette invece di mantenere il silenzio."
Sebbene molte
delle famiglie dei bipiani abbiano intrapreso feroci battaglie per porre
fine a questa agonia, per altri residenti questa condizione non sembra
essere un peso. Secondo le famiglie italiane che vivono nel ghetto, agli
immigrati vivere nei bipiani va bene.
"Molti di loro sono
irregolari e un posto come questo gli garantisce l'invisibilità,"
racconta Mario a VICE News. "Altri invece sono regolari, come gli
albanesi, ma hanno una ricchezza [immobiliare] alle spalle" nella loro
terra d'origine. Secondo Mario, il loro unico interesse è di avere un
punto d'appoggio dove dormire alla fine del turno di lavoro.
Nei bipiani di Ponticelli di italiani ne sono rimasti pochi. Oltre
alla famiglia di Mario se ne contano altre nove, peraltro non tutte
legate al terremoto dell'Irpinia. È questo lo zoccolo duro dei residenti
del 'ghetto', famiglie che hanno assistito nel corso degli anni a un
vero e proprio via vai di persone.
Oggi i bipiani si presentano
come un mosaico di culture ed etnie differenti: italiani, albanesi,
kosovari, serbi, asiatici ed africani, ciascuno insediato nella sua fila
di container a formare un mappamondo in miniatura. Un quadro di
disperazione, tra chi è stato dimenticato trentacinque anni fa e chi
invece ha trovato in questi container - gelidi d'inverno e bollenti
d'estate - la migliore delle sistemazioni possibili.
Non è dato sapere chi gestisca questo piccolo business immobiliare,
ma è molto probabile che i clan della camorra possano avere un ruolo
nell'intera vicenda, spiega Braibanti. "Si tratta di un'attività tipica
della criminalità organizzata, e nessuno può davvero escludere che siano
le organizzazioni criminali a gestirli," continua il responsabile di
SEL. "Tuttavia, nessuno lo può provare in maniera dettagliata."
Secondo
Braibanti, più che di camorra bisognerebbe parlare di mentalità
camorristica, ovvero di quella propensione - appartenente tanto alla
criminalità quanto ai sottoboschi dell'amministrazione - a sguazzare nel
degrado e a trovare il modo di trarre profitto da simili situazioni.
Guadagnare sui residenti dei bipiani è comunque un'impresa ardua:
nella maggior parte dei casi queste persone non hanno un lavoro, e
difficilmente potrebbero trovare un'altra sistemazione fuori dal ghetto.
Considerato l'affitto irrisorio, alcuni di loro accettano la
sistemazione di buon grado.
Fu questo uno dei motivi che causò lo
stop temporaneo del progetto fotografico di Paolo Manzo. "Mi fermai
perché mi sentivo un po' tradito," racconta il fotografo a VICE News,
"alcune delle famiglie sono ormai assuefatte da questo disagio, ci
marciano e hanno smesso di lottare."Rosaria, 47 anni di cui gli ultimi diciassette vissuti nei bipiani, ha
una pena sospesa di un anno a causa del mancato pagamento delle bollette
elettriche. "In questa situazione pretendono pure che io paghi le
bollette," si sfoga. Rosaria teme che le forze dell'ordine possano
tornare per condurla in carcere. Allo stesso tempo, però, la donna è
intimorita anche da un'eventuale ricollocamento presso le case popolari.
"Non so se riuscirei a sopravvivere lì, con le bollette e tutte le
altre spese. Sono disoccupata e non mi è rimasto più nulla."
La disoccupazione non è comunque una costante dei residenti dei
bipiani. C'è chi faceva l'autista di veicoli commerciali, come Mario;
chi lavora in una ditta di trasporti, come Moussa; chi ha un trascorso
da pizzaiolo, come Andrea.
Chi non ha un lavoro, s'inventa
qualcosa: un ragazzo smonta pezzi di automobile e li rivende, un altro
spaccia. Secondo quanto ci raccontano, c'è anche chi si prostituisce per
gli uomini del ghetto.
In tutto questo, chi manca all'appello sono le istituzioni. Sebbene
alcune famiglie siano ormai assuefatte dal disagio, molte altre si
svegliano ogni mattina nella speranza di ricevere la chiamata per il
ricollocamento.
Sono le stesse famiglie che hanno cercato, nel
frattempo, di includere una piccola dose di dignità tra i cunicoli che
separano i container. Passeggiandoci si intravede infatti qualche
aiuola, un po' di verde qua e là.
C'è perfino un bar. Lo gestisce Pasquale, che offre ai "concittadini" dei bipiani un piccolo luogo di aggregazione sociale.
Secondo
Roberto Braibanti, è proprio questo il problema di Napoli Est. "I
bipiani non sono l'unico esempio di disastro sociale nella zona. Ci sono
molti altri lotti eretti nel post terremoto con problemi di vivibilità"
racconta. "In questi nuovi quartieri mancano elementi di aggregazione
sociale, non ci sono i servizi e non c'è alcuna possibilità lavorativa."
L'unico momento in cui le istituzioni si fanno vedere è in periodo di
campagna elettorale. "Politici, ispettori sanitari, assistenti sociali
compaiono solo nel periodo delle elezioni, poi scompaiono fino alla
tornata elettorale successiva," racconta a VICE News Andrea. "Ecco
perché ormai abbiamo smesso di votare."
L'anno scorso, a
Ponticelli è comparso anche il premier Matteo Renzi. Una visita a una
fabbrica locale di elicotteri, un giro presso il nuovo e futuristico
Ospedale del Mare progettato con la consulenza di Renzo Piano, il
ritorno a Roma.
"Il premier si è guardato bene dall'andare a vedere i veri problemi di quell'area, come i bipiani o l'area inquinata della Q8,"
è l'accusa di Roberto Braibanti. "Accendere i riflettori su queste
problematiche costringerebbe lo Stato a dare delle risposte."
Articolo:Luigi Mastrodonato
Fotografie: Paolo Manzo
Fonte
Commento di Oliviero Mannucci: L'articolo in questione è di circa un anno fa, ma le cose non sono affatto cambiate, così stavano e così sono rimaste. Ho potuto visitare personalmente vari paesi dell'Irpinia nel 1986. C'erano interi paesi abbandonati, la gente era stata trasferita nei containers, spesso a qualche chilometro di distanza. Interi ospedali baraccati. I politici poi si lamentano, " va sempre meno gente a votare", "c'è troppa distanza tra i cittadini e le istituzioni", "perché la gente si disinteressa della politica?", " non bisogna far governare i 5 Stelle". Io non parteggio per nessuno, tutti coloro che entrano in politica che vengono pagati profumatamente dai cittadini, se non risolvono questi problemi, non sono degni di rappresentare nessuno e andrebbero cacciati a calci nel culo. Cari lettori di "LADRI D'ITALIA" ricordatevi di queste immagini quando dovrete pensare se andare o non andare a votare. Votare uno o l'altro schieramento significa leggittimare un sitema di cose che fa acqua da tutte le parti. Se andate a votare dopo non avete il diritto di lamentarvi di come vanno male le cose. Voi con il vostro voto diventate complici di chi sta distruggendo l'Italia. Ricordatevelo!
"LADRI D'ITALIA" E' L'ORGANO D'INFORMAZIONE DEL MOVIMENTO POPOLARE DI LIBERAZIONE NAZIONALE "CULO A STRISCE", CHE SI PREFIGGE DI MANDARE A CASA CON LE BUONE ( o con le cattive, facendogli APPUNTO, il culo a strisce) TUTTI I POLITICI CHE CAMPANO SULLE SPALLE DI MILIONI DI CITTADINI GUADAGNANDO MIGLIAIA DI EURO AL MESE PER NON FARE QUASI UN CAZZO E RENDERE LA VITA IMPOSSIBILE A CHI SI GUADAGNA LA VITA CON IL SUDORE DELLA PROPRIA FRONTE.
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