L'editoriale del direttore
TRENTO - Nemmeno vent'anni dopo Mani Pulite, il Paese è sprofondato in una nuova Tangentopoli, peggiore e più devastante di quella di allora. Agli inizi degli anni Novanta, infatti, si rubava ancora (in buona parte) per i partiti. Oggi la corruzione, la concussione, l'abuso d'ufficio avvengono per esclusivo arricchimento personale e per favorire i propri interessi, anche politici ed elettorali. Come vent'anni fa, la diffusione del malaffare e delle tangenti è penetrata in ogni livello della politica, della società, delle istituzioni, della pubblica amministrazione. Un tumore maligno che sta portando il Paese alla metastasi, asfissiando l'economia e disgregando la coesione sociale e nazionale. A differenza di vent'anni fa, però, tutto ciò non provoca alcuna reazione civile, né morale né politica. Non c'è nemmeno la consapevolezza nell'opinione pubblica del baratro in cui sprofondiamo, che accomuna l'Italia a una qualunque repubblica delle banane sudamericana, dove la corruzione e la criminalità organizzata dominano sovrane. L'assuefazione sembra essersi impadronita degli italiani, in una sorta di mitridizzazione del corpo sociale e politico nazionale, un avvelenamento quotidiano che ha reso insensibili al veleno del malaffare che sta uccidendo l'Italia. Anzi, rispetto a vent'anni fa, malavita organizzata e politica (come le inchieste sul senatore Pdl Nicola Di Girolamo mostrano) si sono saldamente intrecciate e hanno solide radici in Parlamento. Nell'ultimo anno le denunce di corruzione, concussione e abuso d'ufficio sono aumentate del 229% rispetto all'anno precedente. L'allarme viene dalla Corte dei Conti, che parla appunto di «tumore maligno senza anticorpi». Un cancro generatore di sprechi abissali, opere inutili e incompiute, malasanità, consulenze gonfiate. Una stima prudente degli sperperi nella Pubblica Amministrazione fissa in almeno 80 miliardi di euro l'anno il danno inflitto ai cittadini e alle imprese, qualcosa come cinque o sei Finanziarie. Se a ciò si aggiungono altri 100 miliardi di euro sottratti alla cittadinanza dall'evasione fiscale, si comprende chiaramente come l'Italia non possa reggere a tale ladrocinio.
Per poter sopravvivere, come nazione e come cittadini, occorre pertanto reagire e intervenire in fretta e con determinazione, rimuovendo le cause che hanno portato il tumore a diffondersi e prossimo alla cancrena. Forse è già troppo tardi.
La prima causa dell'estendersi incontrastato della corruzione è la legittimazione politica e culturale dell'illegalità avvenuta in questi ultimi quindici anni. È forse il lascito maggiore del berlusconismo all'Italia, l'aver reso l'illegalità normale, comune, accettata, stile di vita di cui vantarsi. Diciannove leggi ad personam per difendere i propri interessi personali, patrimoniali e giudiziari,distruzione continua e sistematica di ogni controllo di legalità, delegittimazione quotidiana della magistratura, comportamenti corruttivi, provati anche dalla recente sentenza della Cassazione sul caso Mills (che ha salvato dalla condanna solo per la prescrizione), hanno costituito un «libera a tutti» per il malaffare nel Paese. A destra come a sinistra, nei piani alti come nei piani bassi della politica, ovunque ci si è sentiti legittimati a non rispettare la legge (o a cambiarla per i propri interessi), ad aggirare i controlli, ad evadere le tasse, a «comprare i silenzi», a chiedere favori in cambio di diritti. Tangentopoli si combatte solo ripristinando la legalità e il controllo di legalità. Contrastando il crimine che emerge dalle intercettazioni, non approvando leggi che cancellano le intercettazioni.
Una seconda radice della corruzione sta nella selezione della classe politica. Attualmente, infatti, in Italia non ci sono libere elezioni dove il cittadino può scegliere il candidato che più gli aggrada per il Parlamento. Esiste solo un plebiscito su liste bloccate, decise dai ras di partito, che in molti casi immettono ai primi posti (quindi eletti sicuri) furfanti e «birbantelli» che s'insediano a Montecitorio e Palazzo Madama per continuare a svolgere i loro misfatti.
Attualmente sono 92 i parlamentari inquisiti che siedono sui banchi di Montecitorio, ma la vigente legge elettorale non pone limiti all'immunità per bancarottieri, corruttori e condannati per banda armata. Finché non sarà consentito agli italiani di scegliere i propri rappresentanti, in Parlamento finiranno inquisiti e avvocati di inquisiti, che a sua volta modelleranno a se stessi le liste elettorali per le regionali, le provinciali, le comunali, variando solo con l'inserimento qua e là di escort e veline compiacenti. Terza causa della corruzione diffusa è la mancanza di riforme strutturali nel funzionamento della Pubblica Amministrazione. Concentrati a tempo pieno a risolvere i problemi personali del premier e dei suoi accoliti, il governo Berlusconi (ma la stessa cosa è stata con i governi di centrosinistra) non ha fatto nulla se non riempire quotidianamente le agenzie di spot, annunci e proclami in cui il ministro Brunetta ha eccelso su tutti. In realtà non si è fatta alcuna riforma dei servizi pubblici locali, basata su gare trasparenti e aperte anziché su affidamenti a trattativa privata. Si è accresciuta l'attività d'intermediazione dello Stato e degli Enti locali, aumentando il potere discrezionale di funzionari e amministratori pubblici, attorno a cui finiscono per gravitare interessi giganteschi (l'esempio delle spa e del principio dell'emergenza continua è illuminante). Risultato: oggi una buona fetta delle decisioni di spesa non sono governate da regole automatiche e meccanismi trasparenti, ma da favoritismi, influenze personali, rapporti di conoscenza, sistemi di «do ut des». Se non si incide su questo fronte, la corruzione dominerà sovrana. Infine, vi è una quarta causa dell'abisso morale in cui è sprofondato il Paese. Ed è la cultura (anzi, l'incultura) degli italiani, già portati per loro natura al non rispetto delle regole, all'evasione, al familismo amorale dove ciò che conta è sistemare e favorire sé e i propri congiunti rispetto al bene comune e al corretto funzionamento della cosa pubblica. Questa è forse la radice numero uno del male che sta disfacendo il Paese. Ed è forse la più difficile da estirpare, perché profondamente connaturata con il sentire comune degli italiani. È la mancanza di senso dello Stato, che mette al primo posto il proprio tornaconto invece che le regole comuni a rispetto e garanzia di tutti.
È l'assenza di etica pubblica (e molto spesso anche privata) a guida dei propri comportamenti. È la carenza di rispetto per l'altro, un'inciviltà volgare e ignorante che si percepisce anche per strada, al semaforo quando c'è chi passa col rosso, nei parcheggi in doppia e tripla fila, sul treno nelle urla sguaiate al telefonino. Una cafonaggine diffusa che negli ultimi trent'anni, grazie al contributo determinante della tv privata (a cui s'è piegata subito la tv pubblica), ha attecchito e prosperato nel profondo dell'humus comportamentale degli italiani, mutando geneticamente i valori di fondo del Paese e trasformando la vita quotidiana in un reality alla Maria De Filippi, fatto di urla, volgarità, menefreghismo, pura apparenza per occultare il vuoto di sostanza. È questa emergenza morale la partita più difficile che abbiamo di fronte. Forse non basterà nemmeno una generazione per vincerla, ma da ciò dipenderà se potremo ancora chiamarci Europa o rassegnarci a finire Terzo Mondo.
Fonte: p.giovanetti@ladige.it
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