Giorgio Napolitano ha
giurato per il suo secondo mandato e ha parlato al Parlamento riunito
in seduta comune. Amen. Voglio però essere irriverente, non verso Re
Giorgio che, nel bene e nel male, una sua dignità la mantiene sempre (è
qualcosa che possiamo riconoscere persino da queste colonne, da dove
pure l’abbiamo avversato e continueremo ad avversarlo). No, voglio
essere irriverente verso i partiti – soprattutto quelli in attività da
più lungo tempo – e dare una libera ma verosimile interpretazione delle
parole pronunciate a Montecitorio: il presidente uscente/entrante ha in
pratica dato loro dei coglioni e loro giù ad applaudire fino a spellarsi
le mani. Saremo anche dei coglioni, devono aver pensato, ma almeno
siamo ancora qui e siamo riusciti a salvare la pelle, almeno per ora.
Ovviamente Napolitano non ha usato la terminologia a
cui ricorro io, ma in pratica ha rivolto alle forze politiche un
discorso che potremmo così sintetizzare: siete imperdonabili, non avete
fatto le riforme che servivano, non avete cioè cambiato la legge
elettorale e neppure modificato il bicameralismo perfetto, non avete
tagliato seriamente i costi della politica, nulla per mettere il Paese
sulla strada dell’innovazione e delle sfide globali, non avete fatto
altro che accapigliarvi fra schieramenti contrapposti nonostante tutti
gli appelli che vi ho rivolto per cambiare l’andazzo. E alla fine, dopo
56 giorni in cui non siete riusciti nemmeno a formare un governo, siete
venuti da me a pregarmi di accettare la rielezione perché stavate nella
cacca e non sapevate più come uscirne.
Bene, ha detto in pratica Napolitano, io ho accettato controvoglia a
seguito la drammaticità della situazione in cui versa il Paese, ma
sappiate che se ricominciate con la stessa solfa di prima, io mi
dimetterò e vi sputtanerò definitivamente davanti al Paese. Per cui non
ricominciate a prendervi a sberle e sappiate che è tassativo, per
formare il governo, che vi incontriate fra forze anche molto distanti
fra loro, così come accade in molti altri paesi. Subito un governo per
fare cosa? L’agenda delle cose da fare è già lì sul tavolo, stilata dal
gruppo dei saggi, e al nuovo governo spetterà solo il compito di
indicare le priorità. Dunque, cari i miei partiti, io vi ho aperto la
strada, ora voi imboccatela oppure andate a quel paese.
Così parlò, chiaramente parafrasando, Giorgio Napolitano, il quale ha pure dato un contentino al Movimento 5 Stelle,
apprezzando la scelta di misurarsi in Parlamento e non di contrapporre
la piazza alle istituzioni, ma ammonendolo sul fatto che la rete, pur
utile, non si può sostituire alle regole democratiche, basate sui
partiti e sui movimenti politici democratici.
Al netto della prosopopea patriottarda, che
proprio ci fa venire l’orticaria, e di qualche commozione di troppo, da
Re Giorgio non ci si poteva aspettare altro che un discorso del genere:
ha fatto la sua parte da Capo di un Paese alla deriva cercando di dare
un calcio nel sedere a partiti che sono ancora più alla deriva della
stessa Italia.
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